Firenze – L’ordine di sequenza delle mutazioni del DNA nelle cellule staminali influenza la natura e le manifestazioni di un tumore. Lo dimostra lo studio firmato dai ricercatori del Laboratorio congiunto per le Malattie mieloproliferative croniche della Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi e del Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica della Università di Firenze, coordinato da Alessandro Maria Vannucchi e pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica New England Journal of Medicine (“Effect of Mutation Order on Myeloproliferative Neoplasms”, DOI: 10.1056/NEJMoa1412098).
Le mutazioni genetiche
“I tumori sono il risultato dell’accumulo in una cellula staminale di un certo numero di mutazioni acquisite del DNA, che condizionano lo sviluppo e l’evoluzione della malattia e ne influenzano la presentazione clinica, la risposta alla terapia e la prognosi. – racconta Vannucchi, associato di Malattie del sangue – Non era noto, però, se anche la sequenza temporale con cui le diverse mutazioni vengono acquisite dalla cellula tumorale contribuisca a influenzare tali aspetti.”
Il team di ricercatori fiorentini – di cui fa parte la ricercatrice Paola Guglielmelli – ha collaborato con il Cambridge Institute for Medical Research e con altri laboratori europei, utilizzando come modello di tumore una famiglia di neoplasie ematologiche dette “mieloproliferative croniche”. “Sono tumori della cellula staminale emopoietica – spiega il docente – comprendenti forme diverse: la policitemia vera e la trombocitemia essenziale, che sono accomunate, anche se in percentuali diverse, dalla presenza di una mutazione (denominata V617F) nel gene JAK2.”
Lo studio
Per lo studio sono stati selezionati i pazienti che presentavano contemporaneamente la mutazione JAK2V617F e un’altra mutazione del gene TET2. L’analisi del profilo mutazionale di oltre 7.000 cellule individuali ha dimostrato che l’ordine con il quale le due mutazioni compaiono nelle cellule staminali è importante.
“Ad esempio – chiarisce Vannucchi – se la cellula staminale acquisisce prima la mutazione di JAK2 e successivamente di TET2, si sviluppa più facilmente una policitemia vera e il paziente è a rischio elevato di sviluppare trombosi. Al contrario, se viene acquisita prima la mutazione del gene TET2, è più probabile che si tratti di un paziente più anziano e che presenti una trombocitemia. Anche il profilo di espressione genica globale della cellula e la capacità di proliferare e differenziare – prosegue il docente – sono influenzatiato dalla sequenza con cui compaiono le mutazioni. Infine, l’efficacia terapeutica di farmaci JAK2 inibitori – conclude Vannucchi – è risultata maggiore nei casi in cui la mutazione JAK2V617F compariva per prima.”
“Le nostre osservazioni – commenta Vannucchi – potrebbero avere importanza più generale comprensione delle mutazioni genetiche e del loro impatto sull’origine e il comportamento di tutti i tumori.”