La traduttrice dal russo di Umberto Eco, Elena Kostioukovitch, anni fa ha scritto un libro pieno di piccole divertenti magagne ma non per questo meno divertente e istruttivo: “Perché agli italiani piace parlare del cibo. Un itinerario tra storia, cultura e costume”.
Non è tanto facile da trovare, ormai, ma se vi capita ve lo consigliamo: purché siate in grado di passare sopra al fatto che dopo una quattrocento pagine l’autrice infine non risponda all’interrogativo che costituisce il titolo. Al quale rispondiamo senza problemi noi: agli italiani piace parlare del cibo perché è un argomento molto vario nel quale sono immersi fin dalla più tenera età. E con la cultura del cibo italiana, si tratta di argomento emozionante ed inesauribile.
Sfiorito col passare del tempo l’argomento calcio, a proposito del quale tutti, tranne i più ingenui, hanno ormai capito che si tratta solo di un modo ingegnoso per lavare i soldi neri di metà dell’industria internazionale; tristemente in disuso le battaglie intellettuali circa il sesso degli angeli e la differenza tra genitum, non factum e la posizione di Ario e dei suoi seguaci, a questo punto gli italiani, per giustificare tutto il tempo in cui non cercano un lavoro, trovano ottimo rifugio nel parlare di politica.
Che, ad onor del vero, se da sempre costituisce un tema piuttosto interessante e ricco di sfaccettature, è andato addirittura trasformandosi col passare del tempo in una specie di incredibile romanzo fantasy pieno di cattivi e di buoni, di complotti e di amori e di intrighi, di colpi di scena e animali magici che appaiono come nelle fiabe degli Andersen e dei Grimm e si trasformano ad ogni due per tre nelle cose più disparate. Ad esempio, c’era già pronto il grande Concilio degli Elfi a Gran Burrone, ovvero davanti alla sede del Monte Paschi, quando a mezzo telepatia sono stati tutti richiamati: attenzione, concilio saltato, Sauron non è più una priorità. Hanno béccato Grima Vermilinguo e ci conviene stare coperti per un po’, zitti e muti.
Il quale Grima prima era un Finanziere, poi diventa un politico, che è considerato troppo puro e giacobino però salta di Regione in Comune, di Partecipata in Fondazione e poi alla fine lo colgono con le mani nel sacco per corruzione: segno che il giacobinismo, se pure c’era, era forse di facciata, forse distorto. E in questo trasformismo egli non solo sopravvive, ma addirittura prospera all’ombra di Saruman, che poi è Alemanno, che poi in realtà non è proprio Alemanno ma tutto quell’intruglio infinito e inconoscibile che da sempre costituisce l’intreccio tra malaffare, corruzione politica e personale, intrecci con le beghe della Curia romana, mafie locali e nazionali, diplomazia, appalti e semplice smania di protagonismo da tifoserie che vede Roma come teatro del dramma fin dai tempi dei Gracchi, se non prima: indissolubile.
Il fatto che M5S abbia voluto per forza ritagliarsi un ruolo di preminenza alla guida di questa città incurabile rappresenta uno splendido caso di passo più lungo della gamba, quelle cose che, bere o affogare, le fai solo quando ti sei davvero troppo esposto per tornare indietro: ti sei candidato a Roma, ti offrono di governarla e hai purtroppo lasciato passare la voce che potresti riuscirci, che fai, molli e ti sputtani o ci provi e rischi il collo? Ci provi. E così, in un gigantesco ruzzolone, Grillo e Casaleggio si giocano il tutto per tutto con una splendida telenovela nella quale chiamano a recitare persino una volontaria capace di collegarli, tramite Previti, a quei tanti poteri forti che dicono di volere abbattere.
Cioè, in realtà no; loro vogliono abbattere quegli altri, ovvero quelli che non fanno loro gioco. Lo si evince nella straordinaria indifferenza complice per la quale, alla faccia di tanti ideali, riescono a trovare scandalosi solo i loro diretti avversari politici (quel PD che non li ha chiamati a sé e dalle cui frange marginali pescano voti e consensi), mentre non trovano affatto problematiche le peripezie del Cavaliere Sempreverde, le boutades razziste e terrificanti della Lega degl’Insorti e tantomeno quelle sempre marginali e sempre disperanti dei Fratelli d’Italia e simili compagini di fratelli, orsù, in questo giorno di San Crispino eccetera. Tanto odio unidirezionale, poco da dire, costituisce la prova provata del fatto che non ci sono particolari motivi ideologici ma bensì di mera rivalità politica dietro agli assalti all’arma bianca condotti dai fedelissimi perché, Deus Vult! Tolto Matteo Renzi dall’agone politico ora il campo di detta rivalità si fa indistinto e poco sofferto, e ci si può rivolgere tranquillamente nell’altra direzione, ovvero la salvaguardia degli interessi economici che stanno dietro le quinte; perché se quando era in atto la scalata a Telecom nessuno tra i poteri forti aveva protestato (ma Grillo e compagnia soffrivano), adesso che è in atto la scalata a Mediaset da parte anche di Telecom Grillo e compagnia, siccome buona parte dei loro soldi deriva da lì e dai tanti rivoli ex Craxiani mai sopiti, ci tengono ad evitare che venga fermata.
Qualcuno meno puro e ingenuo di noi potrebbe persino ravvisare in ciò la volontà di difendere i propri interessi: non noi, di certo. Dal canto suo, il sopraccitato Cavaliere pare non aver ben compreso che il suo tempo è finito, e che dietro alla morbidezza in aula e altrove a lui riservata negli ultimi anni c’era un silente patto di garanzia: tu ti togli dai coglioni, noi non ti facciamo fuori, ossia non ti rovesciamo addosso tutto quello che uno Stato può rovesciarti addosso, beninteso non nei tempi in cui lo possedevi di fatto tu. Un esilio dorato, insomma, dal quale però – vuoi per esigenze economiche, vuoi per mitomania, vuoi perché gli stessi che lo hanno messo lì ancora esigono il pagamento delle cambiali – Egli vuol ritornare; e allora, si ricomincia con le delazioni, coi processi, coi balzelli e non ultimo alla possibilità di voltare le spalle mentre Mediaset viene divorata pezzo per pezzo. Forse, anche l’abdicazione – veloce e decisa – di Re Matteo Primo ha il suo buon gioco in queste vicende.
Perché se è vero che il Fiorentino ha abdicato, i suoi avversari politici, il branco di anziani lupi che gli mordeva i garretti, ora è uscito allo scoperto e, già con lo spumante in mano per festeggiare la caduta del tiranno e il successivo rimpasto, si sono accorti (tardivamente) che se da Presidente del Consiglio questi ha mollato il colpo, tuttavia non si è affatto dimesso, come si aspettavano, né dal Partito né dalla sua guida. Ora qualcuno forse comincia a riflettere sul fatto che il consenso degli elettori è una cosa, il consenso all’interno del Partito, ben altro, e che avere salde in mano certe redini può contare come scopa, primiera, denara e Settebello in questa lunga partita.
E che quel tale non solo impara velocissimamente le lezioni, è giovane, spregiudicato ed energico, ma è anche irreprensibile e irrepreso dal punto di vista giuridico e formale e, soprattutto, è più forte quando si rialza dopo le cadute di quando si presenta la prima volta. Ahi, ahi. Per cui, esagerano quelli che pensano che farsi segare al Referendum fosse una strategia pianificata; ma certo, vista la parata, e con lo spettro di una nuova legge elettorale (proporzionale, che altro?) in arrivo, un tostissimo piano B è già lì che delinea le sue forme. E quel piano B può ben essere un bel nucleo renziano come macigno inscalfibile del PD, attorno al quale costruire una bella Prima Repubblica di coalizioncine di governo dalla quale, ovviamente, escludere le non allineabili opposizioni che avranno però in cambio la comodità di restare, appunto, all’opposizione: zero responsabilità, zero lavoro se non di gola, stipendi elevatissimi, zoccolo duro di entusiasti sui quali contare.
Sempre che, naturalmente, la credibilità di tutti costoro non frani miseramente in un mare di cocci entro brevissimo; perché l’esperienza capitolina al momento in cui scriviamo sta già mostrando una corda molto lisa, nella quale la Raggi, accusata di aver voluto tenere duro da quelli che le hanno intimato di tenere duro, per non voler tagliare la corda da scalata dell’alpinista Marra rischia di finire nel burrone pure lei e di trascinare con sé Di Maio prima, lo stesso Grillo, che fa molto meno lo spavaldo oggi, poi: mai come oggi è chiaro che, finita l’era dei Meet Up, M5S è diventato un Partito Azienda molto esclusivo e molto discutibile, e che l’aver ottenuto certe piazze ha avuto costi in termini di pulizia e di credibilità ancora tutti da valutare. Non si è ancora spento il clamore delle referendarie, che già molti suoi elettori della prima ora prendono le distanze da vertici nei quali non si riconoscono più. Peccato che non abbiano alternative, perché M5S è un partito di proprietà privata, non certo una democrazia dal basso.
E così, nell’attesa di un possibile capitolo che forse potremo intitolare il Ritorno del Re, o dello Jedi, o quel che vi pare, si delinea all’orizzonte, di nuovo, persino la Grande Balena Bianca e lo spettro dei telefoni grigi, stavolta però i- qualcosa, incombe nuovamente su di noi. E siccome ci rendiamo conto di essere persi in un mare di storie, di raccontarcela, di farcela raccontare, il ritorno di una grande narrazione, di una storia bella pesante e con scarsi margini interpretativi tutto sommato non ci causa quell’inquietudine che, dopo Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica, avremmo pensato di provare se le cose fossero tornate come prima.
Anzi. Perché tutta questa narratologia da fiabe estemporanee ci sta lasciando un attimo perplessi, per non dire che ci sta proprio stufando. E – pericolosissimo! – potremmo anche accettare con rassegnazione e anche un po’ di gratitudine il ritorno di momenti in cui si votava forte, si votava duro, ma alla fine serviva a ben poco, perché tutti i giochi erano già fatti. Perché negli ultimi anni gli italiani stanno dando prova di una tale dirigibilità alle urne e, peggio ancora, nelle piazze che, magari, impedire loro di farsi male definitivamente potrebbe essere visto con favore anche dalle campane più libertarie e democratiche. La qual cosa certamente porta un po’ di serenità e di deresponsabilizzazione, ma anche tanti altri problemi che dovremmo avere ben chiari davanti agli occhi.