Firenze – Presidio oggi pomeriggio organizzato dalla rete “Ogni giorno è il Primo Maggio”: in piazza operai, lavoratori di vari settori, precari della casa e dei diritti, giovani, vecchi e di mezz’età. Nessuno escluso. L’iniziativa è stata organizzata per mettere in evidenza “lo sgretolamento progessivo dei diritti, dal lavoro alla casa alla sanità all’istruzione”, come dicono dal presidio. E per chiedere con forza che si metta davvero mano, con interventi strutturalim a questa continua deprivazione di diritti e futuro.
Al microfono, analisi politiche, economiche, qualche proposta per riprendere un po’ di sicurezza nel futuro, storie. Storie quotidiane, storie che esistevano prima del covid e che il covid ha solo esasperato, sì, ma anche messo in sordina, disperso nel silenzio collettivo del distanziamento, della sfiducia, della solitudine.
Ad esempio, storia di Orlando, nome fittizio, ragazzo di circa trent’anni, che in due anni ha conosciuto “sette padroni, cambiato lavoro due volte, mai uscito dal limbo del precariato ed ora, quando ci sarà lo sblocco dei licenziamenti, insieme ad altre 600 persone dovrò tornare nel parco delle attese”. Ovvero, quello sterminato “parco” di persone che offrono la propria forza lavoro cercando un impiego. Quale e come, spesso, dopo uno o due anni o tre di ricerca inutile o coperta da attività che durano qualche mese, non importa più. “Sei disposto ad accettare qualsiasi cosa”.
Che sia questo il “segreto”? “Sfiancare la gente al punto da indurla a pensare che anche lavorare 12 ore per sette giorni alla settimana sia un successo – dice un altro ragazzo, con la bandiera rossa sulla testa – forse è questa la strategia”. Il problema, come spiega Silvia, sindacalista Usb, è che 2anche se si accettano cndizioni inumane pur di lavorare, non ci si fa. Quanto si dura? Ho visto ragazzi che venivano da noi quando ormai erano sull’orlo del crollo nervoso. Senza riposo, senza staccare mai (la modalità del lavoro online comporta spesso l’annullamento delle pause) oppure, quando finalmente si giunge alla pausa pranzo, spesso si rischia di doversi collegare per le riunioni. Tenute rigorosamente nei cosiddetti “stacchi” dall’orario di lavoro”. Per quanto? Salari incomparabilmente più miseri rispetto a 20-30 anni fa. O perlomeno, mai cresciuti. “Per combattere – dice Stefano Cecchi, Usb – è importante lasciare da parte le divisioni, i rancori, le “giacchette” e rimettere in campo l’unità delle lotte”.
Al microfono, una lavoratrice dell’aeroporto, facente parte di quella società di handling che, una volta distaccata dalcorpo madre e privatizzata, viene ora venduta a un misterioso acquirente di cui non si sa nulla, circa le intenzioni per quanto riguarda la forza lavoro. “Nonostante le rassicuraizoni giune anche dai vertici regionali – dice la lavoratrice – si deve affrontare in realtà una diminuzione di diritti che oltre ad essere già avvenuta almeno in parte, rischia di divenire sempre più pesante, dal momento che niente vieta al nuovo acquirente volesse procedere alla messa a casa dei lavoratori, a pagare gli ammortizzatori sociali è comunque l’istituzione pubblica. “Dov’è il nostro futuro? Chi ce l’ha rubato?”.
Intanto, qualcuno parla anche del caso Texprint, che da mesi sta scuotendo l’opinione pubblica della Toscana. Si tratta di un gruppo di operai, circa una ventina, che, con il sostegno del sindacato Si Cobas, da gennaio porta avanti un presidio davanti all’azienda al grido di “8×5”. Cosa significa? Otto ore di lavoro per 5 giorni alla settimana. Normale, insomma, secondo il contratto collettivo nazionale di categoria. Normale, mica tanto. Infatti, non solo l’azienda, di porprietà cinese, non si dà per vinta, continuando un muro contro muro con gli operai in sciopero, ma non mostra segni di volere aprire un tavolo neppure dopo l’interdittiva per mafia comminata la settimana scorsa dalla prefettura di Prato. Non solo. Gli operai hanno avuto blitz degli agenti di polizia per farli desistere dal presidio. Intanto, sul finire dell’iniziativa fiorentina, giunge la notizia che una manifestazione contro i colleghi della Texprint in sciopero viene messa in atto dagli altri operai dell’azienda. I cartelli: “Diritto al lavoro”, “Vogliamo lavorare”. Del resto, l’azienda in un comunicato, ieri, aveva diffuso la notizia che se le autorità non interverranno sul presidio davanti alla fabbrica, l’azienda chiuderà. “Insomma – dicono mentre si sta smobilitando da piazza Adua, dove l’iniziativa fiorentina si è attuata – diritto al lavoro a 12 ore per 7 giorni alla settimana, lasciando perdere la retribuzione neppure dignitosa, non è diritto al lavoro. Era meglio dire: diritto alla schiavitù”.
“Diritto al lavoro e diritto alla casa sono inscindibili – dice Marzia Mecocci, Movimento di Lotta per la Casa – se non si ha un tetto sulla testa, non si può lavorare, se non si ha un lavoro non si conserva la casa. Di più: senza casa e lavoro, la salute è una chimera, senza salute casa e lavoro è impossibile il diritto all’istruzione. Credo che sia necessario mettere in campo la tutela della persona partendo da questi semplici diritti soggettivi, fondamentali e inalienabili. Perché non solo senza questi non c’è tutela della persona, ma violando anche uno solo di questi si viola l’integrità psicofisica della persona stessa”. E dal momento che la fascia della povertà si sta sempre più allargando, le violazioni del diritto costituzionale all’esistenza “libera e dignitosa” sono sempre più evidenti.