Parigi – Gli economisti dell’Ocse, l’organizzazione che riunisce i paesi industrializzati della terra, ritengono improbabile il rischio di una disoccupazione tecnologica di massa. Secondo le loro previsioni, robot, software e algoritmi non dovrebbero minacciare milioni di posti di lavoro, contrariamente alle allarmanti ipotesi, come quelle dell’Università di Oxford, secondo cui nei prossimi dieci-venti anni negli Stati Uniti il 47% degli impieghi attuali sarebbe scomparso. O come quelle del Forum economico mondiale di Davos che si attende a una quarta rivoluzione industriale, quella dell’intelligenza artificiale, che entro il 2020 distruggerà in 15 grandi economie 7,1 milioni di posti di lavoro e ne creerà solo 2 milioni.
Secondo l’organizzazione che ha sede a Parigi, l’approccio ai compiti “automatizzabili” finora utilizzato sarebbe troppo generale in quanto presuppone che tutti i lavori siano uguali all’interno di una professione e in tutti i paesi. “E’ poco probabile che l’automatizzazione e la digitalizzazione distruggano un gran numero di posti di lavoro” ha indicato Stefano Scarpetta, a capo della direzione lavoro e affari sociali dell’Ocse, secondo cui si può prevedere che in media il numero dei lavori automatizzabili sarebbe del 9% negli Usa e negli altri paesi dell’Ocse. “Molto meno del 47%”ha commentato. Per Scarpetta se non esiste un gran rischio di disoccupazione tecnologica bisogna attendersi però a profondi cambiamenti nella natura dei compiti lavorativi . Soppressioni di posti di lavoro sono comunque da prevedere soprattutto per le categorie che hanno ricevuto una formazione più debole e sono quindi meno qualificate. Secondo l’Ocse poi ogni impiego creato nel settore dell’alta tecnologia porta alla creazione di altri cinque posti di lavoro che difficilmente però andranno a sostituire i posti soppressi in quanto le competenze richieste non sono le stesse.
Per ovviare a una eventuale riduzione della domanda di manodopera, bisognerebbe prendere in considerazione, scrive l’Ocse nel suo studio, l’ipotesi di una riduzione dell’orario di lavoro. Nel documento si mette infine in guardia contro il pericolo di un aumento dell’ineguaglianze con da una parte lavoratori molto qualificati , che lavorano molto e guadagnano bene e gli altri, poco qualificati e mal remunerati.