Firenze – Lavoro, lavoro. Stop alle bollette e agli sfratti. E ai licenziamenti. Le parole d’ordine sono ormai le stesse, in tutti i presidi che ogni mattina stringono forte alla gola Firenze. Oggi i lavoratori degli appalti toscani, organizzati dall’Usb, si sono recati in presidio in piazza Duomo, sotto la Regione, e hanno ottenuto un incontro con l’assessore Cristina Grieco. La Regione, ha assicurato l’assessore, svolgerà il ruolo di cinghia di trasmissione per le esigenze dei lavoratori toscani. Ma all’orizzonte si addensano grosse nuvole.
A suonare l’allarme, ci aveva pensato qualche giorno fa un focus dell’Ires Cgil, che aveva incentrato la sua analisi sulle prime conseguenze generate dalla diffusione dell’epidemia Covid 19 sull’economia della Toscana. Pur ricordando che la situazione economica congiunturale della Toscana, consuntivo 2019/ previsioni 2020, ante Covid 19 mostrava già un marcato rallentamento della crescita regionale (0,1%), malgrado una buona vivacità delle esportazioni, con un Pil ancora in ritardo del 4% sul 2007 ed un pesante differenziale negativo sugli investimenti (-19,3%), le proiezioni che, pur con le dovute precauzioni, l’Istituto aveva reso pubbliche delineano uno scenario che dall’Ires stesso era stato definito “apocalittico”.
Nelle sue prime rilevazioni l’Ires aveva infatti segnalato che il blocco di gran parte delle attività produttive si è immediatamente riversato su lavoratori e lavoratrici con un ricorso di dimensioni gigantesche agli ammortizzatori sociali, con percentuali di utilizzo di alcuni strumenti, come le diverse forme di Cassa Integrazione, superiori per milioni di ore addirittura alle enormi quantità richieste nel periodo 2009/14 per rispondere alla crisi del 2008. Una crisi mai affrontata prima dall’Italia repubblicana, dovuta allo shock congiunto di domanda e offerta “causato dal blocco delle relazioni tra imprese e mercati esteri nelle catene globali del valore”.
Se il quadro nella sua tragicità non risparmia nessuna regione italiana, segnalava ancora l’Ires, “la Toscana mostra un indice di vulnerabilità superiore a causa delle due specializzazioni produttive, export e turismo, che ne hanno sostenuto le performances economiche negli anni della lenta e faticosa risalita dopo la crisi del 2008”.
Export e turismo, vale a dire i due settori più colpiti dalla pandemia, che ha azzerato quasi del tutto i flussi di merci e persone. Una disanima rafforzata dai numeri: al -0,2% di differenza tra crescita media annua 2014/2019 della Toscana rispetto al Centro-Nord, si aggiunge, per il dopo Covid, il -5,3% sull’andamento previsto dei consumi in Toscana nel 2020 e il -12% sull’andamento previsto degli investimenti fissi lordi in Toscana nel 2020.
La percentuale dei lavoratori nei settori più colpiti, export e turismo, in Toscana è del 45% rispetto alla media italiana, pari al 41%. In totale si tratta, secondo le stime dell’Ires, di 763mila lavoratori che ad oggi sono occupati nei settori chiave dell’economia, regionale, e che subiscono in pieno i colpi della crisi innescata dal covid-19.
L’impatto sull’occupazione, sempre secondo i dati Ires, è prevista a -5,2% di perdita occupazionale prevista in Toscana nei settori più colpiti, se si tiene ferma l’ipotesi di un Pil pari a -8% nel 2020, che si trasformerebbe in un -7,5% se si esamina la situazione secondo l’ipotesi due, vale a dire il lato peggiore della forbice prevista dagli studiosi dell’istituto, ovvero Pil pari a -11,6%. Senza dimenticare che guardando alle ore di cassa integrazione, misurando la variazione per provincia del numero di ore autorizzate tra aprile 2020 e media aprile 2009/2014, per la Toscana risultano essere aumentate del 1657% in più (media regionale).
Intanto dalla Cgil giunge qualche nota positiva, ma anche molti punti che rimangono oscuri. Ad esempio, il nuovo decreto legge annunciato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che permetterebbe di utilizzare altre 4 settimane di cassa integrazione, agganciandole alle 14 già usufruite. Un provvedimento che, se permette ai lavoratori di “stare tranquilli” fino a metà luglio, non chiarisce cosa succederà dopo.
Fra i problemi da porsi “da subito”, il primo, segnalano dalla Cgil, riguarda “le aziende che non chiuderanno per ferie, ma che lavoreranno con personale ridotto. In questo caso, ci si domanda, con quali strumenti staranno a casa quei lavoratori, anche se dovessero ruotare”.
Il secondo punto “oscuro”, “riguarda le aziende che chiuderanno perché ad agosto “non hanno domanda oppure hanno i fornitori chiusi. Anche in questo caso, ci si chiede, con quali ammortizzatori verranno coperti i lavoratori, stante che molte aziende, non avendo lavorato nel periodo del blocco, potrebbero non avere i soldi per pagare le ferie ai loro dipendenti”. Dunque, la proposta è: un altro periodo di cassa per arrivare fino a fine anno e il blocco dei licenziamenti per tutto il 2020.
Anche perché, come i cartelli spiegavano stamattina, ci sono cose della vita che non stanno ad aspettare. Le bollette, ad esempio: non sono sospese. Gli sfratti, che è vero sono bloccati fino a inizi settembre, ma ciò non impedisce ai procedimenti innescati di andare avanti. Come già detto su queste pagine, il timore dei sindacati, da quelli di base al Sunia, che si occupano di casa, è che nell’autunno ci troveremo di fronte a un’ondata di sfratti che potrebbero superare il famigerato periodo dei “tre sfratti al giorno”, dal momento che all’emergenza endemica della città di Firenze circa le questioni abitative si aggiungono ora le famiglie lasciate a piedi dal Covid.
Non solo. Ciò che richiedono con forza i sindacati di base è un reddito inclusivo e allargato, che riesca a dare fiato alle classi popolari per aiutare il rilancio dell’economia.
“Questa crisi è già ora un dramma per milioni di lavoratori e lavoratrici che, senza lavoro e spesso esclusi dal labirinto degli ammortizzatori sociali, non riescono a mettere il piatto a tavola – dicono da Potere al Popolo, presente stamattina al presidio in solidarietà con l’unione sindacale di base e tutti i lavoratori – il governo deve rispondere adeguatamente all’emergenza, impostando una billionaire tax sul 10% dei ricchi italiani che possiede il 60% della ricchezza del paese. In questo modo si potrebbe assistere chi ha perso il lavoro con un vero reddito di emergenza (da 90-100 mlrd) e utilizzare le restanti risorse (400 mlrd) per creare lavoro “buono”.
Abbandonando il sistema degli appalti e reinternalizzando, ripublicizzando settori strategici come la sanità, la ricerca, la tutela del territorio e produzioni importanti come l’acciaio, ma senza tornare al passato: attuando quindi quella conversione ecologica di cui ha bisogno il pianeta, con uno sguardo al Mezzogiorno e alle aree interne, e un controllo popolare degli investimenti”.
“Finora si sono forniti soldi a pioggia alle imprese che non hanno creato lavoro, ma solo protratto la sofferenza delle stesse, essendo più del 50% delle imprese italiane in crisi di solvibilità e già bollite prima della crisi – concludono da Pap – Regione Toscana e Comune di Firenze dovrebbero abbandonare il modello delle grandi opere (vedi aeroporto) e collaborare con il governo nel far tornare il pubblico al centro della scena”.
Foto: Luca Grillandini