Firenze – Lavoro, o meglio, occupazione con segno positivo, e quel che conta, segno + rispetto al 2008, vale a dire prima della crisi. E’ il primato di cui si fregia la Toscana insieme al Trentino Alto Adige; di poco, è vero, ma, dice intervenendo alla conferenza di apertura alla Fiera toscana del lavoro a Firenze Stefano Casini Benvenuti, direttore di Irpet (l’istituto di programmazione economica della Regione) “è pur sempre un segno più. Sono 36 mila posti di lavoro in crescita e se considerassimo gli ultimi trimestri potrebbero diventare anche più di 40 mila”.
E allora perché manca l’evviva? Perché la crisi ha segnato drasticamente il tipo di lavoro. Ma ancora prima, è bene analizzare da dove deriva questa svolta nella curva dell’occupazione: è l’export la voce che in questi anni ha continuato a crescere, la pelletteria, il calzaturiero finalmente in ripresa, la farmaceutica che ha triplicato addirittura le esportazioni. Dunque, la Toscana si trova nella parte solida del Paese, il quadrilatero formato da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e …..Toscana appunto. La curva dell’occupazione si è invertita dal 2015 in poi.
Ma il gigante potrebbe avere i classici piedi di argilla. E l’argilla è rappresentata, ad esempio, dal fatto che fra i nuovi e i vecchi occupati ci sono oggi più part-time del 2008, racconta il direttore di Irpet e per la maggior parte involontari. Ne è rirpova il fatto che le ore complessivamente lavorate sono diminuite rispetto a dieci anni fa. Crescono i tempi determinati, sono cresciuti i posti di lavoro nei servizi, che in Toscana sono soprattutto alla persona (ristoranti, accoglienza, cura della persona fisica) e non, come detto anche in altri momenti dal direttore dell’Irpet, servizi all’impresa. Lavoro povero, chi ne ha beneficiato di più sono le donne rispetto agli uomini. In aumento anche i ‘liberi professionisti senza dipendenti’, ovvero le partita Iva (20 mila in più) che sono magari pur sempre “un precariato a volte privilegiato”, si commenta sul palco, ma “pur sempre precari”. In sintesi, dice Casini Benvenuti, “Si sono affermate le forme di lavoro più deboli”.
Non solo. Le forme di lavoro “deboli” hanno un’altra ricaduta drammatica che riguarda anche la tenuta sociale della comunità civile, vale a dire, la media delle retribuzioni è scesa. Di quanto? “Mediamente ogni toscano, in dieci anni, ha perso al netto dell’inflazione 250 euro al mese – dice il presidente dell’Irpet – ed è nata una categoria che prima non c’era: quella dei lavoratori poveri, mentre prima i poveri erano solo quelli che non lavoravano”.
Ma c’è ancora qualcosa d’altro: il lavoro in Toscana infatti, come su tutto il territorio nazionale, si è polarizzato. Significa che crescono i lavori altamente qualificati e molto pagati ma crescono anche i lavori pochissimo pagati. In flessione tutto ciò che sta nel mezzo; dunque, la classe media. I lavoratori in dieci anni sono anche invecchiati (da 42 a 45 anni), il che vuol dire che meno giovani hanno trovato occupazione anche se la disoccupazione giovanile è comunque diminuita.
Irrisolto anche il problema del disallineamento tra chi offre e chi cerca lavoro. I numeri li dà ancora una volta Irpet: tra gli under 30 il 59 per cento dei laureati svolge un lavoro per cui non è richiesta la laurea e il 37 per cento dei diplomati ha un’occupazione per cui il diploma non sarebbe servito. C’è poi, uno su cinque, che si è laureato e formato in un campo ma poi ha trovato un posto di lavoro per cui il profilo della laurea conseguito non è quello richiesto.
Guardando la questione dal punto di vista delle imprese, 59 su cento confessano che hanno difficoltà a trovare le figure professionali ricercate, con un peggioramento, sostiene qualcuno, negli ultimi tre anni. Il problema non sarebbe tanto lo scorso numero di domande, quanto il fatto che non si trovano le competenze richieste. Le più difficili da reperire sono quelle tecniche. Spesso le aziende cercano inoltre personale con esperienza.
“Un tempo le imprese formavano sul luogo di lavoro e oggi non se lo possono più permettere” racconta Nicola Sciclone, ricercatore e dirigente di Irpet che sul mismatching ha coordinato la ricerca commissionata dalla Regione. In Germania ogni anno si diplomano a un livello post-secondario non universitario 38 mila studenti di istituti tecnici. In Italia dagli Its, gli istituti tecnici superiori a cui si pu& ograve; accedere dopo il diploma, ne escono solo in 11 mila l’anno. “In alcuni settori come la meccanica e la moda potrebbero essere quintuplicati” dice Sciclone.
Le difficoltà ci sono anche per mansioni per cui non sono richiesti titoli di studio elevati: mancano artigiani e operai specializzati nel settore meccanico e in quello della moda, ad esempio. Le imprese toscane, piccole e medie, cercano più facilmente diplomati che laureati. “E i laureati in Toscana – conclude Casini Benvenuti – sono ancora prevalentemente assorbiti dalla pubblica amministrazione, nell’istruzione e nella sanità”. Ma studiare rimane importante, anche se il vero segreto sta, come conclude Sciclone, “nella scelta”.