Firenze – Povertà a braccetto con occupazione? Parrebbe proprio così, almeno a giudicare da quanto raccontano molti cittadini e associazioni, come i sindacati, che se ne stanno in “prima linea” sul territorio. Una coppia interessante, quella che unisce povertà ed occupazione, in quanto smorza gli entusiasmi e consiglia riflessioni più pacate rispetto ai dati Istat, che registrano appunto “la persistenza della fase di espansione occupazionale”. Con riguardo al luglio 2016, l’incremento è di 294mila unità (+1,3%), con il tallone d’Achille del tasso di disoccupazione giovanile, che si attesta, sempre a luglio, al 35,5%, in crescita di 0,3 punti da giugno. Da sottolineare che, in rapporto al 2008, gli investimenti rimangono “sotto” del 20% circa.
“Il mio caso è singolare – a cominciare è Jacopo, poco più di trent’anni, assunto da qualche mese – mi sono trovato in una situazione paradossale che riguarda la mia richiesta di mutuo a una banca, attuata presentando il mio contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Insomma il top dei contratti che si possono ottenere col Jobs Act. Ero piuttosto sicuro che non ci sarebbero stati problemi, dal momento che provengo dalla categoria dei lavoratori a tempo determinato e ben conosco le perplessità degli istituti di credito per concedere prestiti a questa tipologia di lavoratori. Mi sono sentito incredibilmente richiedere un supplemento d’indagine”. Insomma, se è lecito sospettare che quel “a tutele crescenti” forse non sia ancora entrato nel frasario comune, tuttavia si tocca con mano la diffidenza che sollevano i rapporti di lavoro che sono al di fuori di quelli “classici”, sebbene a tutti gli effetti ormai il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti sia la nuova, ordinaria modalità dell’indeterminato.
Se il caso di Jacopo fa riflettere, è pur vero che si tratta di un probabile equivoco che riguarda uno dei lavoratori “fortunati”. Si comincia però a intuire quale sia il significato di “lavoratore povero” o meglio, visto che per qualcuno è troppo definire una certa categoria di occupati “lavoratori”, di quelli che secondo la segretaria del Sunia toscano Laura Grandi sarebbe meglio definire terzultimi: vale a dire, un soffio più su di chi è migrante, non ha lavoro e casa e di chi ha casa ma non lavoro. I “terzultimi”, insomma, quel che pur lavorando, ameno sulla carta, riescono a malapena a sopravvivere.
Occupazione e lavoro, allora, non sono più la stessa cosa, almeno a sentire l’Usb fiorentino. “Dobbiamo fare chiarezza una volta per tutte sulla definizione di lavoro – fanno sapere dal sindacato di base – che configura un’attività remunerata che permetta un’esistenza dignitosa”. Dunque un affitto che sia qualcosa di più di un posto letto, avere figli, consentirgli, se del caso, di continuare a studiare. Ma con la media degli stipendi dei nuovi “occupati” o almeno della maggioranza di essi, è molto difficile ottenere queste cose, dal momento che, dicono dal sindacato, “la media degli stipendi si aggira dai 400 agli 800 euro mensili. E questi ultimi possono ritenersi fortunati”.
“I terzultimi – spiega Laura Grandi – non sono disoccupati e non sono in carico ai servizi sociali. Spesso hanno un contratto di lavoro precario. Cosa significa? Ad esempio, una difficoltà spesso insormontabile di accedere all’affitto, dal momento che è invalso ultimamente l’uso, da parte dei proprietari di case, di richiedere di dimostrare la situazione reddituale. E non si chiede più la busta paga, ma direttamente il contratto. Ovvio che, se è a termine o ricade in una forma di precariato … non si viene considerati. I dati li abbimao di prima mano, dal momento che, per gli aventi titolo delle case popolari, è necessario rivedere ogni due anni la situazione reddituale. Cpsì spesso accade che qualcuno sia stato licenziato e riassunto o ridimensionato: in media, lo stipendio cala del 30%”.
In questa situazione sovente (ma non è detto) versano i cosiddetti giovani, che spesso poi tanto giovani non sono, perché si tratta in buona parte di persone dai trenta ai quarant’anni. Tuttavia, il discorso non cambia anche per i cinquantenni, che magari hanno perso e ritrovato il lavoro. Occupazioni, in ogni caso che servono solo alla sopravvivenza, non alla casa, non all’affitto o tanto meno all’acquisto. Se lo stipendio serve interamente per la spesa alimentare, cosa succede? … Per fortuna, conferma Grandi, spesso soccorrono genitori o nonni, magari con pensioni “antico stampo” e case di proprietà. Ci si stringe e si alberga tutti nella casa comprata dai lavoratori del boom economico e dei contratti collettivi nazionali vecchio stampo. Altro che choosy.
E se ci si sposa? La situazione parrebbe migliorare: con lo stipendio medio dei tempi che corrono, 800+800, si arriva a 1600 euro al mese. Festa? Niente affatto. Esclusa la possibilità di acquisto (anche perché il mutuo o il prestito è ancora affare che si risolve in famiglia quando si può, le banche, come abbiamo visto, continuano a tenere stretti i cordoni della borsa) si va direttamente all’affitto. E qui sono dolori, a Firenze in modo speciale, dal momento che il mercato degli affitti tiene conto anche della locazione turistica. Quindi, alloggi pochi, affitti alle stelle. “Abbiamo fatto la scelta di andare in affitto fuori Firenze – dicono Antonio e Piera, coppia di trentenni fiorentini di nascita e tradizione – con 1600 euro al mese, siamo dovuti andare ad abitare a San Piero a Sieve. Niente da dire, ma entriamo la mattina molto presto al lavoro e abbiamo dovuto fare i conti con i treni, gli abbonamenti, i ritardi. Ma non ci lamentiamo, almeno possiamo vivere insieme in una casa nostra”. Altrimenti la scelta era stare in casa con i suoceri, “ma la casa è piccola – spiega Piera – e mia cognata, dopo il divorzio, si è trovata nella necessità di tornare con i genitori, insieme alla bambina. In ogni modo, ci pensavamo da tempo”. Così, fra abbonamenti, benzina, bollette, qualche lavoretto in casa, “i nostri soldi ci bastano appena per sopravvivere. Non nascondo che qualche volta chiedo aiuto a mia madre per arrivare alla fine del mese”. Perché il vero problema, per queste famiglie sempre sull’orlo, è l’imprevisto: una malattia, un incidente, una bolletta più alta del solito, magari per la classica perdita d’acqua di cui non ti accorgi, o per il conguaglio che hai dimenticato di pagare.
“Per paradosso – dice ancora Grandi – chi è in una casa popolare è più tranquillo, almeno per quanto riguarda il tetto sulla testa. Tutto ciò è devastante a livello sociale: il contrasto fra una situazione di apparente normalità, il lavoro, e una situazione economica di povertà viene vissuto come un tradimento, ed esacerba una sensazione che assomma insicurezza e negatività. Chiedo: si può vivere single con 800 euro al mese? Male. Con un figlio? No. Inoltre, mentre la fascia di difficoltà si è allargata, l’Erp diminuisce in offerta. Le rate medie di un mutuo, in Toscana sono di 638 euro mensili. Senza pensare a quando, fra cinquanta-sessanta-settant’anni queste persone arriveranno in pensione. O si prevede un mondo in cui si accede gratis a tutti i servizi essenziali, oppure queste fasce di anziani finiranno in strada”.
Ma non c’è solo questo, dietro ai dati in crescita degli occupati. A mettere il dito su una piaga che ancora appare misconosciuta, è l’Usb fiorentino. “A parte il fatto che i dati sono interpretabili – fanno sapere dall’Unione sindacale di base – le contraddizioni sono tante, ad esempio sulla crescita della spesa alimentare. com’è possibile che questa cresca, quando siamo alle prese, come sindacato, con continue chiusure e ridimensionamenti degli organici da parte della Gdo? E se gli investimenti continuano a rimanere al di sotto di un buon 20% rispetto al 2008 con cosa si crea lavoro? E se per lavoro si intende la possibilità di ottenerne una vita dignitosa, dov’è il lavoro? …”.
“L’esempio più classico di quanto ci corra fra occupazione e lavoro – continuano dall’Usb – sono gli operatori delle cooperative. In larga parte infatti, queste persone si trovano nella condizione di occupati, di lavoratori- sulla carta almeno, perché spesso lavorano poche ore, appena per arrivare a uno stipendio di 400 -800 euro di media al mese. Sarebbe meglio dire che non si tratta di lavoratori, ma di combattenti per la sopravvivenza”. Da aggiungere, e non è poco, che spesso questi operatori hanno buona competenza e formazioni invidiabili. Ma la cooperativa che vince l’appalto (la maggior parte infatti lavora con la Pubblica Amministrazione e fornisce servizi pubblici) spesso lo vince al ribasso, spesso chiama per poche ore, spesso è in ritardo con i pagamenti. Insomma non vale più neanche il detto “pochi, maledetti e subito”.
Altro che subito. Spiegano dall’Usb; “La modalità è questa: per uno stipendio arretrato di uno, due, tre mesi, vengono corrisposti dai 20 ai 30 euro al mese”. Insomma, viene “rateizzato” anche lo stipendio. L’operatore risulta occupato, ma non ha la possibilità di vivere dignitosamente.
“Questo non è lavoro – dicono ancora dall’Usb – chiamatelo come volete, ma è scorretto parlare di lavoro”.