Più di 13.000 delegati, quasi il doppio degli anni passati. Nessun dubbio nelle previsioni, com’è stato confermato, che l’argomento cruciale dei discorsi sarebbe stato il rapporto strategico degli Stati Uniti con Israele nei confronti del’Iran. Obama, Leon Panetta (Segretario alla Difesa), Donna Brazile (political strategist del Partito Democratico), l’apice della politica militare dell’attuale amministrazione USA; Shimon Peres e Benjamin Netanyahu. Non era mai accaduto che il Capo dello Stato e il primo Ministro israeliani partecipassero insieme all’annuale Congresso dell’Aipac: non solo il governo, per sua natura transeunte, anche lo Stato.
Peres e Obama il primo giorno (5 marzo), Netanyahu il secondo nel pomeriggio, dopo essere stato ricevuto nella mattinata alla Casa Bianca.
Esordisce Peres con espressioni improntate alla mozione degli affetti. Inizia: «Sono qui prima di tutto e soprattutto (first and foremost) per la salvezza (behalf) del mio popolo». Prosegue ringraziando Obama per essere un così buon amico (such a good friend). Definisce il regime iraniano diabolico e corrotto, una offesa alla dignità umana (an affront to human dignity): «deve essere bloccato (he must be stopped) e vinceremo se saremo forzati a combattere (to fight), credetemi (trust me)».
Dopo un lungo preambolo dedicato all’amicizia di sempre degli Stati Uniti per Israele e dei suoi personali sentimenti e provvedimenti presi a favore di Israle, Obama ammette che nessun governo israeliano può tollerare armi nucleari nelle mani di regimi che negano l’olocausto e riconosce il peso della responsabilità storica che grava sulle spalle di Netanyahu e Barak. Non equivocabile Obama nell’affermare che «un progetto di armi nucleari iraniane è assolutamente contrario alla sicurezza di Israele, come pure agli interessi degli Stati Uniti» per il pericolo che cadano nelle mani di terroristi.
Nel seguito cambia registro. Afferma che fin dai primi mesi della sua presidenza è stato chiaro nel sollecitare l’Iran a scegliere fra il rispetto degli obblighi internazionali (allusione al Trattato di non Prolificazione sottoscritto anche dall’Iran) e una serie di crescenti pesanti conseguenze. Già sottopongono l’Iran a gravissime condizioni economiche con conseguente divisione della leadership; crede pertanto fermamente (I firmly believe) rimangano (remains) opportunità per la diplomazia (for diplomacy). Precisa che Stati Uniti e Israele concordano nel ritenere che l’Iran non debba disporre di armamento nucleare, e precisa «noi siamo in merito estremamente (exceedingly) vigili». Nel gelo dell’uditorio sottolinea che Israele e Stati Uniti concordano nell’interesse di entrambi che la sfida con l’Iran si risolva con una soluzione diplomatica (this challenge resolved diplomatically). L’esperienza dei conflitti con l’Iraq e Afganistan lo avevano convinto (left him) di non entrare in guerra precipitosamente (hurry for war) contro l’Iran. «Per di più (moreover), come presidente e supremo comandante (commander-in-chief) ho una profonda preferenza (deeply-held preference) per la pace anziché per la guerra… Per il solenne impegno (solemn obligation) con il popolo americano userò la forza solamente quando richiesto dalle condizioni e dalle circostanze (time and circumstances demand it)». Aggiunge che anche i leader israeliani sono coscienti del costo e delle conseguenze di una guerra. Come ogni altro presidente degli Stati Uniti, Obama assicura all’Aipac dei vincoli infrangibili (unbreakable bonds) e dell’impegno degli Usa per Israele. Sottolinea non si debba dubitare delle sue parole; infatti durante i tre anni della sua presidenza, tutte le volte (every single time) in ogni congiuntura cruciale gli USA sono stati a fianco d’Israele. Evita tuttavia di impegnarsi per un intervento militare americano qualora Israele decidesse un raid preventivo. Funzionari Usa hanno in seguito dichiarato che Obama non intende si possa ritenere dagli israeliani tacitamente consenziente a un’unilaterale decisione di attaccare.
Non si spreca Netanyahu in preamboli ed entra subito nel merito senza messi termini, nel pomeriggio di lunedì poche ore dopo essere stato ricevuto alla Casa Bianca nella mattinata. «È sorprendente (amazing) che certa gente (some people) rifiuta di rendersi conto che l’obiettivo dell’Iran è quello di realizzare armi nucleari». Cita Obama e afferma essere ridicolo (ridiculous) ritenere che l’Iran non abbia ancora deciso se dotarsi di armi nucleari. Deride l’efficacia delle sanzioni, contesta apertamente l’ipotesi di ritenere possibile una soluzione diplomatica come sostiene Obama, convinto che le sanzioni la consentono. Netanyahu è stato in merito categorico, «essere fuori discussione (dismissive)», sebbene Obama insistesse che l’Intelligece Usa non aveva le prove che l’Iran fosse impegnato nella produzione di una bomba nucleare. Riconosce a Obama di avere rafforzato le sanzioni che hanno molto danneggiato l’Iran, ma non sufficientemente. «Le sanzioni sono in atto da sei anni, Israle ha aspettato pazientemente (patiently), ma nessuno di noi può permettersi d’aspettare [d’agire] più a lungo (none of us can afford to wait much longer)». Il discorso è stato accompagnato da una continua vociante approvazione interrotto da frequenti ovazioni. Non c’è dubbio che i delegati dell’Aipac auspicano un attacco militare preventivo ed è chiaro che Netanyahu si proponesse di convincere Obama a impegnarsi (to commit) pubblicamente in un intervento militare a fianco di Israele qualora l’Iran non sospenda il programma nucleare.
La politica interna americana, in particolare le prossime elezioni presidenziali incombano su tutti gli interventi; lo testimonia Mitch McConnell, leader dei repubblicani al Senato. Aveva parlato brevemente prima di Netanyahu per appoggiare (backed) la pretesa di Israele di indurre Obama a una esplicita minaccia d’intervento qualora l’Iran avesse superato la soglia di non ritorno dal costruire la bomba nucleare. Riscuote acclamazioni – platealmente rimarchevoli al confronto del gelo e di qualche applauso di convenienza riservati a Obama – quando raccomanda agli Usa, se l’Iran in un qualsiasi momento iniziasse (at any time begins) un programma di arricchimento dell’uranio, di usare una forza schiacciante (overwhelming) per bloccarlo. Minaccia la Casa Bianca: se evitasse un chiaro pronunciamento, precisa addirittura che il Congresso potrebbe sostituirla (do it for).
(Ho desunto le espressioni originali – in corsivo – dagli eccellenti servizi dell’inviato Chris McGreal di “The Gardian”, 5 e 6 marzo.)
Francesco Papafava