Nuovo corso e nuova squadra per l’uomo forte di Ankara

Al vertice NATO di Vilnius è stato un protagonista assoluto

Il nuovo corso dell’era di Erdogan al potere è iniziato il giorno dopo la vittoria elettorale delle presidenziali dello scorso 28 maggio. Un successo non scontato che ha certificato la profonda spaccatura, in un paese da 85 milioni di abitanti, tra chi lo idolatra e chi teme la deriva autoritaria e illiberale imboccata in questi travagliati anni: il fallito golpe e la repressione dei diritti, la profonda crisi economica e il terremoto, l’amicizia con Putin e la guerra senza confini ai curdi.

Al recente vertice NATO di Vilnius Recep Tayyip Erdogan è stato un protagonista assoluto svolgendo un ruolo in parte oscuro. Ha dimostrato la centralità strategica della Turchia all’interno dell’Alleanza Atlantica con via libera all’adesione della Svezia. Cosa abbia convinto Erdogan a mutare idea è materia da libri di storia. Certo è che la diplomazia del signore del Bosforo ha un prezzo da pagare, e il costo finale non è ancora stato ufficializzato. L’ipotesi più probabile è che sia la Svezia, che l’Ue e gli USA abbiano messo sul tavolo concessioni e promesse allettanti: allargamento della cooperazione contro il gruppo curdo del PKK; stop all’embargo della vendita di F-16 imposto dal Congresso statunitense; agevolazioni o addirittura esenzione del visto per l’Europa ai cittadini turchi; ripresa della trattativa per l’ingresso nel circolo “esclusivo” di Bruxelles. Questo o altro ancora è quello che il sultano si è portato a casa dal suo proficuo viaggio in Lituania. 

Per realizzare il suo sogno di grandezza il nazionalista populista Erdogan si è ovviamente contornato di fedelissimi. Come ad esempio il potente e temutissimo Hakan Fidan, elevato a ministro degli esteri. Un tempo legato a Fethullah Gulen ha saputo prendere le distanze dal suo sponsor quando questo è caduto in disgrazia. Fidan è stato l’ex capo dei servizi segreti (MIT), e la lunga mano della complessa rete di trattative politiche e diplomatiche dall’Africa all’Asia, si dice che non ci sia accordo internazionale a cui non abbia lavorato personalmente. Dietro al crescente sodalizio con Tripoli, Teheran e Mosca ci sarebbe proprio lui. Ora dovrà disegnare i futuri confini dell’imperialismo ottomano, e rilanciare la dottrina espansionistica del “Mavi Vatan”.

Le altre due figure chiave della visione e del programma di Erdogan sono Mehmet Simsek e Yasar Guler. Il primo è indubbiamente quello con la maggiore patata bollente tra le mani, a lui il difficile compito di mettere in ordine le disastrate finanze dello stato. Simsek è un economista di fama internazionale, uomo pratico e razionale cercherà di portare stabilità dove imperversa il caos. Infine, Yasar Guler che ha preso il posto al ministero della difesa di Hulusi Akar. La linea militare non cambia, al primo posto resta la lotta al terrorismo, ovvero ai curdi: “Continueremo a combattere le organizzazioni terroristiche che minacciano la pace e la sicurezza del nostro paese sino a quando non avremo eliminato l’ultimo terrorista”. Il messaggio è chiaro, i giannizzeri di Erdogan sono di nuovo sul piede di guerra.  

In foto Recep Tayyip Erdogan

Alfredo De Girolamo Enrico Catassi

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