Non si sono ancora placati gli echi sulle glorie del Pci reggiano celebrati in un recente convegno, che da palazzo Masdoni, sede storica del partito che ha deciso in tutto e per tutto le sorti di Reggio per almeno mezzo secolo, rimbombano ben altri rumori. I pugni sul tavolo di Giovanni Lindo Ferretti, novello Togliatti versione ’46, quando salì a Reggio ad ordinare ad alcune frange rosse di partigiani, di smetterla di sparare a chicchessia perché la guerra era già belle che vinta da oltre un anno, il Paese liberato dalla dittatura nazifascista, e non era il caso di impegnarsi troppo, almeno con le armi, per spianarne la strada ad un’altra, quella sovietica.
L’occasione è stata la presentazione della kermesse “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea. 1984 – 2024”, la grande mostra inedita nata per celebrare i 40 anni di una delle esperienze musicali più interessanti della storia del punk, dal 12 ottobre all’11 febbraio ai chiostri di San Pietro. Alla domanda infatti di un umile e semisconosciuto cronista (il direttore di questa testata 7per24, ndr) “Ferretti, può spiegarci meglio il senso di un passaggio di una sua recente intervista in cui ha detto che gli antifascisti di seconda e terza generazione la fanno ridere”, il leader indiscusso del gruppo (come nettamente ribadito dalle dinamiche della conferenza stampa) Lindo Ferretti appunto ha intrapreso un excursus dialettico sul significato da lui dato all’aggettivo “antifascista”. Partendo appunto dai pugni di Togliatti sul tavolo ottagonale di palazzo Masdoni e che servirono a placare gli spari dei partigiani rivoluzionari per arrivare all’oggi: “io sono di famiglia cattolica ed antifascista – ha ribadito – ma certi atteggiamenti degli attuali antifascisti mi fanno cagare! Gli antifascisti più stronzi che io conosca sono figli di fascisti!”. E via di questo passo semi-pasoliniano.
Per ribadire non tanto, come importa a certi nostalgici di casa nostra, che il cammino della resistenza sia stato socialmente deviato, o peggio politicamente tradito, ma che quel “sano” antimodernismo che il Ferretti, un tempo dai palchi, oggi dalle montagne romite, continua a celebrare, e che lui negli anni ’80 vedeva incarnato nelle rosse campagne reggiane dalle famiglie contadine moralmente tutte d’un pezzo e, per estensione, in quell’Urss chiusa ai valori progressisti dell’Occidente, si è vieppiù rarefatto nelle metamorfosi di una sinistra globalizzata, tecnologizzata, europeista ed atlantista. Quella per intenderci che ha parificato le culture e fatto estinguere il ceto medio. Insomma per Ferretti il fallimento della sinistra è tutto culturale.
Non è un caso infatti, come i componenti della stessa band hanno sottolineato (c’erano tutti e quattro: da Massimo Zamboni, l’ispiratore della mostra a Luca Vecchi, o “grattugiatore di chitarre” come l’ha chiamato il Ferretti, alla taciturna Annarella Giudici a Danilo Fatur, “corpi da esibire, da vestire o denudare”, copyright sempre del Ferretti), che i Cccp siano piaciuti e piacciano ancora ad un pubblico assai trasversale. Composto da simpatizzanti della sinistra radicale come della destra più reazionaria.
E’ il ben noto fenomeno reggiano del “rossobrunismo”, dalla marxistica dittatura del proletariato alla controriformistica autocrazia clericale, la visione utopistica di un piccolo e come tale permanente mondo antico, fatto di pochi fronzoli consumistici e diversi dogmi calato dall’alto, più o meno spontaneamente. Rossi e bruni hanno sì riferimenti sociopolitici e socioeconomici differenti, ma un unico nemico: il progresso e la democrazia. Come Giovanni Ferretti lasciava intendere anni fa nelle sue esibizioni equestri-barbariche ai chiostri di San Pietro. Progresso e democrazia non sono in fin dei conti che file di autovetture in coda per la Riviera.
Le presenze spirituali, in una eventuale legge del contrappasso tutta atea e materialistica, cui il Ferretti ha chiaramente alluso per l’evento al Valli del 21 ottobre, dei due loro massimi sostenitori dei bei tempi andati, il senatore Renzo Bonazzi, ex sindaco di Reggio ed Ero Righi, già presidente dei Teatri reggiani, intellettuali di punta del Pci reggiano di allora, aleggeranno dunque e forse per l’ultima volta sulla performance dei Cccp. E cesseranno anche gli echi da palazzo Masdoni. Tranne quelli delle visite guidate del sabato pomeriggio.