Dopo aver sapientemente ricostruito il rapporto di Ernesto Balducci con il pensiero di Dietrich Bonhoeffer[i], Pietro Leandro Di Giorgi, Docente emerito di Sociologia presso l’istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana, nonché storico redattore della rivista Testimonianze, si è cimentato, proprio sull’ultimo numero di questa rivista, in una minuziosa ricognizione dell’influenza di Pierre Teilhard De Chardin sul pensiero di Balducci; un’influenza corposa e carsica, che ha svolto il ruolo di vero e proprio punto di riferimento fondamentale per Balducci, contribuendo a conferire solidità teorica alla sua visione: “Ciò che ci proponiamo di mostrare – afferma Di Giorgi – è quanto il dinamismo antropologico teilhardiano e il suo evoluzionismo finalistico, capace di condurre alle capacità inedite della specie umana nella sua fase planetaria, abbiano rappresentato una sorta di stella polare per l’orientamento balducciano”[ii].
Alla presentazione di questo nuovo numero nella sede della rivista Testimonianze, hanno parlato lo scorso 13 Maggio in veste di relatori Bruna Bocchini Camaiani, già docente di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Firenze, e Paolo Trianni, Docente di Teologia delle Religioni presso la Pontificia Università Gregoriana, coordinati e introdotti da Severino Saccardi, direttore della rivista.
Mentre l’Enciclica Humani Generis di Pio XII del 1950 si schierava contro l’evoluzionismo, il poligenismo e l’esegesi simbolica delle Sacre Scritture, con ciò avendo anche specificamente di mira le tesi rivoluzionarie di Teilhard, (che sconterà per questo un esilio di venti anni in Cina e che gli fanno peraltro scoprire la propria vicinanza alla sensibilità orientale), Balducci manifesta l’esigenza di superare il conflitto tra Chiesa e modernità, sostenendo che l’evoluzionismo in sé considerato non esclude la causalità divina, che va comunque intesa in senso fortemente analogico[iii]. L’intento è quello di aprirsi alla libera indagine scientifica che consente una migliore conoscenza dell’uomo dilatando enormemente i tempi e le modalità della presenza umana nel creato e a un’esegesi simbolica delle Sacre Scritture. Un monito riscattato solo recentemente, come ha sottolineato Trianni, dalla citazione che Papa Francesco fa di Teilhard nell’Enciclica Laudato si’(2015).
Grazie a Teilhard e alla théologie nouvelle di Danielou, Congar, Chenu e De Lubac Chiesa e modernità si sarebbero potuti avvicinare abbandonando le sistemazioni nitide, ma statiche, del tomismo, e scienza e fede sarebbero tornate ad avvicinarsi accogliendo le tesi scientifico-copernicane ed evoluzionistiche, che spalancando l’universo a dimensioni inedite avrebbe permesso una nuova sintesi tra mistero esistenziale e immersione nelle dinamiche cosmiche individuando nuove ragioni della funzione della stessa storia umana ai fini del completamento della creazione.
Malgrado la calda accoglienza per le visioni di Teilhard, Balducci non esita tuttavia a nutrire riserve sull’ottimismo ingenuo di una teologia della storia che sussumendo tutta la storia del cosmo e dell’uomo tra l’Alfa e l’Omega del Cristo cosmico tendono a mettere in ombra il dramma della croce, dell’abbandono di Dio alla forza del negativo e a una riduzione immanentistica di un umanesimo che sembra fare a meno della redenzione e della grazia. Se l’atto creativo di Dio predispone la convergenza dei processi fisici e storici verso una traiettoria gravitazionale che porta verso la piena integrazione tra Dio e mondo (pleroma) il rischio è quello di non prendere sul serio la tragedia del negativo, ovvero le spinte contrastanti che contraddistinguono i drammi reali. All’evoluzionismo finalistico che presuppone un’intelligenza segreta che anima la natura e lo stesso operare prometeico degli esseri umani, che è il modo in cui si spiritualizza la natura e si divinizzano le speranze terrene, Balducci sembra obiettare una teologia della croce che rende molto più drammatico questo processo.
Balducci intende integrare nella teologia tradizionale i risultati meno discutibili dell’evoluzionismo; anche se lo fa sempre, come ha ben sottolineato Bruna Bocchini Camaiani, con intenti pastorali, più che scientifici, e ricorre all’elaborazione più scientifica di una teologia, come in La Chiesa come Eucarestia[iv] e Servi inutili[v], solo in risposta alla crisi della Chiesa che si manifesta platealmente con la vicenda dell’Isolotto tra il 1968 e il 1969. Se mettendo il fenomeno umano al centro delle convergenze evolutive grazie a un pensiero che non mette limiti alla propria espansione Teilhard rende possibile il dialogo con le altre grandi tradizioni, culture ed esperienze religiose riuscendo a interrogare le grandi tradizioni ascetiche e mistiche, nondimeno Balducci sottolinea con sottigliezza degna della più alta elaborazione teologica che la solitudine dell’asceta, che marca le proprie distanze dal negativo della creazione sia fisica che umana, da un lato, e la comunione del mistico con il tutto, dall’altro, si conciliano solo se tra spirito, cose e Dio “si introduce il vincolo concreto dell’umanità del Cristo”.
Balducci condivide con Teilhard l’idea che l’opera creatrice dell’uomo costituisca il vertice di tutte le complessità evolutive e sia complementare al disegno della creazione, ma evita al tempo stesso il rischio di schiacciare sulle categorie evolutive individuate dalla scienza quel misterioso scarto che impedisce di mescolare indistintamente scienza, filosofia e teologia; in questo modo egli salvaguarda la trascendenza di Dio rispetto alle accuse di una riduzione monistica e panteistica dell’universo. Una lezione certamente riflesso di una recezione attenta del pensiero di Maritain. Insomma, tra la teologia della storia di Teilhard, secondo la quale la storia è interamente controllata e guidata da Dio e quindi ogni potere è giustificato, e la teologia dialettica di Barth, in cui la storia profana è avulsa e abbandonata ai suoi drammi rispetto a quella sacra, quella di Balducci si caratterizza come una teologia della Croce e della secolarizzazione, nel solco delle teologie elaborate da Bonhoeffer e Moltmann, nelle quali vi è una distinzione attenta tra politica e spiritualità, ma invitando alla più completa solidarietà con le cose profane nella certezza che l’assenso radicale al mondo testimoniato da Cristo costituisca un’immensa calamitazione verso il Cristo come punto Omega, con ciò assentendo alla difesa di De Lubac della formula Teilhardiana.
Rispetto alla visione tradizionale del cristianesimo negatore del mondo il recupero dell’idea di Teilhard della sacralità dell’immanenza, la sottolineatura dei valori positivi dell’ordine materiale, non da evitare, ma da attraversare, mettendo il fenomeno umano al centro delle convergenze evolutive grazie agli sviluppi della scienza e della tecnica, viene a coincidere con quel Cristo cosmico, universale e ricapitolatore che offre un riscatto ultimo ai drammi della storia. Ciò permette di superare l’antitesi tra umanesimo e cristianesimo. La lettura psicologica del Milieu divin riscatta la secolarità e l’irrazionalità dell’inconscio come mezzi attraverso i quali Dio permette il libero compimento del mondo tramite gli sviluppi travagliati della noosfera, o super coscienza dell’umanità, costruita attraverso la “forza distintiva, debole e potente della riflessione”. Già alla fine degli anni ’60, tuttavia, la dicotomia tra laici e chierici, mai messa in discussione da Teilhard, viene messa in discussione da Balducci.
Per Ernesto Balducci il gesuita-teologo e paleontologo Teilhard de Chardin, letto e condiviso con passione parallelamente a Giorgio La Pira, è tra gli artefici della rivoluzione antropologica della coscienza cristiana che contribuisce a far superare al Concilio Vaticano II un’idea sacrificale del cristianesimo che lo rende estraneo alla crescita del mondo. Ora la storia della salvezza ha a che fare con la storia dell’umanità, e con la correlazione tra mistero dell’uomo e mistero di Cristo che costituisce, in quanto unità organica del genere umano giunto al colmo della sua complessificazione, il compimento finalistico della resurrezione. In quanto supercoscienza unificante Cristo rappresenta per Teilhard il punto Omega, ovvero il raggiungimento di quel di più di umanità insito potenzialmente già nell’atto della creazione.
Negli anni ’70 il teologo-scienziato gesuita rimane presente sotto traccia nella riflessione di Balducci che intanto scava nei vincoli antropologici, sociologici e psicologici che condizionano potentemente la libertà dell’uomo. E al tempo stesso matura il confronto col pensiero marxista aprendosi alla teologia della speranza, alla teologia politica e alla teologia della liberazione. Roger Garaudy, che si professa teilhardiano, fa da tramite per il confronto di Balducci col marxismo. La superumanità di cui parla Teilhard sembrava prestarsi alla fede comunista nella società senza classi. Il cristianesimo, interpretato da Teilhard come fiducia nell’avvenire, dispiegamento di tutte le potenzialità umane per una trasformazione non distruttiva della terra e conquista di un mondo libero dall’oppressione e dall’ingiustizia, ben si prestava a un incontro col marxismo.
Malgrado le differenze d’impostazione fra Balducci e Teilhard sul peccato originale, ben messa a fuoco da Di Giorgi, in un mondo in perpetua trasformazione il peccato viene ridimensionato a momento quasi inevitabile della lotta per la liberazione, anziché limite inferiore e definitivo alla libertà. Esso assume piuttosto il carattere di una colpa collettiva e impersonale costituita dal tradimento dell’alleanza coi progetti divini attraverso il perseguimento di un dominio sulla natura e gli altri uomini. In questo modo l’umanesimo marxista che punta sull’autocreazione umana si concilia con gli errori nello sviluppo delle proprie potenzialità da parte dell’umanità.
Tuttavia per Balducci la sapienza della Croce è lì a sottolineare che una volta superati i domini di classe non ci si è ancora liberati dal dominio della morte, ridimensionando così la lotta politica come dimensione ultima. E la spinta antropologica insita nell’umanità ad autosuperarsi e trasformarsi, pur costituendo una forma di trascendenza immanente alla natura umana, non esaurisce quel senso indefinito dell’umano e la permanente ulteriorità rappresentati per il credente dal Cristo risorto, vera anticipazione del futuro e di quell’uomo inedito che costituirà il nucleo dell’ultima elaborazione di Balducci.
La tesi della cosmogenesi destinata a trovare compimento attraverso l’antropogenesi viene sviluppata nella prima metà degli anni ’80 da Balducci sia nel volume sulla Pace, realismo di un’utopia[vi], sia nella Storia del pensiero umano[vii]. L’uomo pensante sviluppa un’intelligenza collettiva e connettiva, anticipazione profetica dell’infosfera, chiamata da Teilhard noosfera, in grado di incidere sugli sviluppi cosmici e di portarli a compimento. Cosmogenesi, biogenesi e antropogenesi convergono con l’emersione della coscienza dell’homo sapiens che sviluppandosi introduce nel cosmo complessificazione e coscientizzazione. Il corrispettivo soprannaturale di tale supercoscienza è per Teilhard il Cristo come Alfa e Omega della creazione. Malgrado questa convergenza con Teilhard, Balducci nutre qualche riserva su una visione della figura di Cristo come troppo schiacciata sulla dimensione evoluzionistica spiegata in termini esclusivamente immanentistici.
La maturazione dell’umanità verso rapporti e coscienza sempre più compiutamente planetari , finalisticamente orientata verso la realizzazione del Cristo Omega, ritorna nel libro su La Pira[viii], sia pur con qualche cautela circa la coincidenza fisica e scientifica tra Cristo e il punto Omega, quasi che la Resurrezione fosse un prodotto fisico degli sviluppi della natura, in quanto Balducci vede la venuta di Cristo come una rottura e una condanna della storia rispetto al peccato del mondo. Pur rifiutando con Teilhard il carattere realistico del peccato originale di Adamo ed Eva in quanto induce a un pessimismo antropologico circa l’irredimibilità dell’uomo e a una sua passivizzazione e rassegnazione di fronte ai mali del mondo, Balducci pensa tuttavia che la dottrina della trasmissione ereditaria del peccato sia un espediente rozzo, ma efficace, del Magistero per descrivere la propensione al male del genere umano prima dello sviluppo della sua responsabilità morale individuale. Per Balducci l’idea del peccato originale serve a conferire “verità salvifica” a “una grandiosa epopea simbolica, la cui intenzione, più che storica è profetica”; quella di un fenomeno umano la cui radicale libertà affida alla contingenza e alla fede la responsabilità di sciogliere un mistero che l’architettura finalistica di Teilhard tende a sottovalutare.
Dal punto di vista teologico Balducci concorda con Teilhard sulla coincidenza tra redenzione e creazione, nel senso che la redenzione non deriva dal peccato originale per riscattarlo, ma è prevista fin dall’origine della creazione come segno di degnificazione dell’uomo, atto di riverenza, di elevazione e di invito alla partecipazione di esso all’altezza della sua creazione. Tuttavia non crede che la salvezza dell’umanità sia il prodotto naturale di un processo biologico, bensì “un atto di grazia che non coincide con la spinta ascensionale dell’evoluzione” di fronte ai capricci dovuti alla radicale libertà e contingenza di una condizione quantomeno amorale, se non immorale, dell’umanità primigenia.
Se la croce per Teilhard è il simbolo dell’invito a superare noi stessi, guida verso il superamento del disordine e verso l’elevazione al disegno divino e non simbolo di sacrificio, immolazione, espiazione, il Cristo cosmico rischia di sottovalutare l’epopea tragica del Cristo storico e di spingerci a concepire la resurrezione come semplice passaggio del Cristo dalla potenza all’atto, insomma una teologia della gloria che ricorre alla resurrezione come semplice forza disvelatrice della forza ascensionale del mondo. Balducci propende invece per una teologia della Croce che vede nella morte di Cristo l’annientamento dell’uomo giusto, nel solco della teologia di Bonhoeffer. Per Balducci lo scandalo della Croce è costituito proprio dal fatto che non si tratta di una incarnazione intesa come forza evolutiva perfezionatrice, ma come identificazione di Dio con l’uomo fino al punto di rendersi inerme e assente di fronte al figlio che impreca il suo soccorso. La reciprocità tra amore di Dio per l’uomo e viceversa costituisce il baricentro del mistero pasquale e si distanzia notevolmente dall’idea del Cristo cosmico che rappresenta il compimento della creazione.
Nell’ultima parte della sua vita, conclusasi anzitempo per un drammatico incidente nel 1992, l’influenza di Teilhard riesplode contribuendo a riorientare complessivamente il pensiero di Balducci in direzione di un provvidenzialismo evoluzionistico in cui l’umanità, di fronte alle sfide umane e ambientali ritrova lo slancio vitale originario attraverso un salto creativo verso un centro più alto di complessità che costituisce, più che una transizione meramente biologica, una mutazione più connotata eticamente. Tale nuova coscienza è la supercoscienza costituita dalla noosfera. L’insegnamento da trarre dalla preistoria è quello che, messo di fronte alle sfide mortali, gli esseri umani sono capaci di salti creativi che richiedono delle mutazioni genetiche tali da superare la competizione selettiva in direzione di una confronto scevro dal ricorso all’uso della forza. Tale passaggio, nella Terra del tramonto[ix], verrà caratterizzato come passaggio dalla seconda ominizzazione alla planetarizzazione, ovvero verso “un umanesimo planetario in cui una medesima civiltà si integri in culture diverse”.
Balducci caratterizza questa svolta come “transizione dalla teologia alienante all’antropologia”non senza analogie – afferma Di Giorgi – “con la teologia delle religioni ante litteram di Teilhard, secondo cui lo spirito incarnazionistico del cristianesimo, con la sua fede nella realtà e nel valore del mondo, della storia e della persona umana, poteva offrire pieno compimento alle varie tradizioni religiose mondiali ‘trasfigurando’ la creazione nel Cristo Omega”[x]. Dopo che l’uomo ha superato le due colonne d’Ercole dell’atomo fisico e biologico occorre una svolta antropologica in grado di farsi carico del destino indisgiungibile dell’umanità e del cosmo. Balducci parla di perfetta coincidenza tra scelta etica e urgenza biologica che non si limita all’autoconservazione della vita, ma costituisce anche un salto di qualità etico verso una libera custodia del creato e un affidamento all’amore del prossimo. L’uomo inedito riguarda perciò la messa in essere di una umanità ancora inesistente che si mette al servizio della custodia premurosa del creato dando al contempo realizzazione all’adempimento di un compito potenziale previsto fin dall’inizio della creazione. Così “l’utopia planetaria di Teilhard ha costituito il tessuto profondo della riflessione balducciana”[xi]. Tuttavia l’ottimismo evolutivo di Teilhard viene messo su uno sfondo più drammatico, che è quello della Theologie nouvelle e della teologia della secolarizzazione di Bonhoeffer, le cui rispettive cristologie divergono: “quella di Teilhard – conclude Di Giorgi – troppo interna al processo evolutivo necessitante della cosmogenesi che si evolve in cristogenesi; quella di Balducci incentrata sulla gratuità dell’evento Gesù, insieme rivelazione di Dio e rivelazione dell’uomo”[xii].
Il Balducci maturo è stato un sostenitore della teologia crucis, ma se si afferma, come lui ha affermato, che “la croce è la distruzione delle teologie”[xiii] e si sostiene che la resurrezione che non va intesa come la soluzione del problema della morte, come invece sostiene tutta l’apologetica della religione cristiana, allora bisognerà tornare a riflettere ancora una volta non solo su che cosa significa che il cristianesimo è una fede post religiosa, ma anche recuperare le radici etiche di quella trascendenza di Dio solo attraverso un pieno impegno mondano e l’esistere per gli altri, con ciò riprendendo il carattere messianico della fede, come Di Giorgi ha da gran tempo già ben argomentato[xiv].
In questo profondo saggio Di Giorgi ci riconsegna una lettura che va oltre le verità semplici del Balducci omileta e conferenziere, e talvolta ideologico, per renderci consapevoli delle verità complesse derivanti dal suo quotidiano mettere a ferro e fuoco la propria fede. Questo lavorio continuo e tormentato condotto per tutta la sua vita Balducci lo ha compiuto integrando sapientemente e con originalità il nucleo di verità contenuto in varie teologie, senza sposarne in toto nessuna, nella consapevolezza che ogni sistemazione teologica, per quanto elaborata, è destinata a contenere delle incoerenze e ad essere oltrepassata necessariamente da una fede che ricorre sapientemente a più indirizzi teologici, ma collocandoli su uno sfondo di mistero destinato a sciogliersi solo nella completa partecipazione alle vicende del mondo.
La sua grandezza consiste nella apertura a sempre nuovi bivacchi della speranza, sapendo sfruttarne con grande sapienza il nucleo di verità e comunicarlo con così rara efficacia da spingere il gregge molto più in là.
Consapevole che il regno di Dio non è di questo mondo, ha testimoniato con tutte le sue forze che esso si può realizzare solo a condizione di partecipare fino al sacrificio di sé per gli altri in questo mondo.
In foto Pierre Teilhard De Chardin
[i] Cfr. P.L. Di Giorgi, Balducci e Bonhoeffer, in Testimonianze, gennaio-aprile 2002, n°421-422.
[ii] P.L.Di Giorgi, Quando Ernesto Balducci scoprì Teilhard De Chardin, in Testimonianze, marzo-aprile 2024, n° 554, p. 55.
[iii] Cfr. Ernesto Balducci, La sostanza di questo mondo, in Testimonianze, n° 102, 1968, ripubblicato recentemente in Testimonianze, maggio- agosto 2022, n° 543-544, pp. 183-187.
[iv] Cfr. E. Balducci, La Chiesa come Eucarestia, Brescia, Queriniana, 1970.
[v] Cfr. E. Balducci, I servi inutili: meditazioni sul ministero sacerdotale, Cittadella, Assisi, 1970.
[vi] Cfr. E. Balducci, L. Grassi, La pace, realismo di un’utopia, Firenze, Principato, 1983
[vii] Cfr. E. Balducci, Storia del pensiero umano, Cerbara di Città di Castello, Edizioni Cremonese, 1986.
[viii] Cfr. E. Balducci, Giorgio La Pira, Fiesole, Edizioni Cultura della Pace, 1986.
[ix] Cfr. E. Balducci, La terra del tramonto, Fiesole, Edizioni Cultura della Pace, 1992
[x] Cfr. P.L. Di Giorgi, Quando Ernesto Balducci scoprì Teilhard De Chardin, in Testimonianze, marzo-aprile 2024, n° 554, p. 93.
[xi] Cfr. Ivi, p. 97.
[xii] Cfr. Ivi, p. 99.
[xiii] Cfr. E. Balducci, Perché Dio? E quale Dio?, in Testimonianze, n° 236-37, 1981.
[xiv] Cfr. P.L. Di Giorgi, Balducci e Bonhoeffer, cit. nota 1.