Firenze – A tre anni esatti dalla tragica morte di Saman Abbas arriva come una doccia fredda la motivazione sulla sentenza depositata dalla Corte di Assise di Reggio Emilia che ha portato a dicembre scorso la condanna all’ergastolo dei suoi genitori: il padre Abbas Shabbar, la madre Shaheen Nazia, e a 16 anni di detenzione lo zio Danish Hasnain. Secondo i giudici ad uccidere nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2021 nel paese di Novellara la giovane diciottenne sarebbe stata la madre. Un fatto supportato da dei filmati in cui la donna si incammina con la figlia al buio verso un vialetto dopo aver fermato il coniuge con un gesto deciso affinché lui non le seguisse.
Inoltre nelle 600 pagine il movente del delitto, non sarebbe ascrivibile al rifiuto della ragazza alle nozze combinate con un lontano cugino in Pakistan, quanto al timore di una nuova fuga, la seconda di Saman, ma che questa volta sarebbe stata vissuta dalla famiglia come un’onta. “Se vi è un dato che l’istruttoria e la dialettica processuale – le uniche deputate a farlo – hanno consentito di chiarire è che Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato», ha precisato la Corte. “Le sentenze si rispettano, -così Stefania Ascari, deputata e componente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere, e prima firmataria della legge Saman che include il matrimonio forzato nell’elenco dei reati che prevedono il rilascio del permesso di soggiorno alle vittime di violenza domestica, -ma si possono commentare. Questa veramente non trova una logica nel momento in cui chi ha seguito il processo ha potuto toccare con mano il totale annullamento dell’autodeterminazione di Saman e la costrizione nei riguardi della stessa di farla sposare con un uomo che lei non conosceva e non amava. E non si comprende veramente per quale motivo ci sia stata data questa spiegazione che è paradossale”.
Sulla stessa linea Ebla Ahmed presidente dell’associazione Senza Veli sulla Lingua, sostenitrice della legge Saman e prima donna in Italia a denunciare che la diciottenne di Novellara si poteva salvare se solo si fosse applicato l’articolo 18 bis del testo unico di immigrazione, che tutela le donne immigrate dalla violenza e che si applica quando siano state accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di una straniera. Sulla motivazione Ebla Ahmed ha spiegato: “Saman era andata via da casa e aveva denunciato per maltrattamenti in famiglia il padre perché era stato deciso per lei un matrimonio forzato con cugino in Pakistan. La ragazza era ritornata nella sua abitazione per prendere i documenti e sposarsi con il fidanzato Saquib. Ci sono dei suoi vocali al fidanzato in cui lei dice che ha paura, che ha sentito una conversazione della madre con uno zio in Pakistan e che organizzano il suo assassinio. È chiaro che Saman è stata ammazzata perchè aveva rifiutato un matrimonio combinato. Perché adesso la giustizia vuole cambiare “le carte in tavola “? “.
“Come associazione -prosegue Ebla Ahmed, -sul caso Saman siamo rimasti sconcertati per una serie di fattori: per la lieve condanna allo zio Danish,ritenuto l’esecutore materiale, ad appena 16 anni; per l’assoluzione e l’immediata scarcerazione dei due cugini, ritenuti complici; per il funerale blindato e in forma strettamente privata della ragazza e adesso per questa sentenza. Perchè dire che Saman è stata uccisa dalla mamma per un diverbio d’onore e non per matrimonio forzato?”.
“In questo modo si rischia di annullare il lavoro di chi lotta ogni giorno per l’emersione del triste fenomeno dei matrimoni forzati che nel nostro Paese ancora sussistono in special modo nelle comunità straniere come retaggio di una cultura patriarcale – conclude – aggiungo che al nostro centralino arrivano richieste di giovani donne che ci chiedono di essere protette perché non vogliono accettare un matrimonio imposto dalle loro famiglie. Con questa sentenza,ora, sarà tutto più difficile”.