Dovesse esistere un nostalgicometro, si farebbe fatica a capire da che parte penderebbe la lancetta antistorica tra le destre e le sinistre che sabato si contenderanno le piazze reggiane a suon di slogan fuffologici e bandiere ammuffite con sopra impressi vuoti simboli ed emblemi incapaci di rappresentare una sola istanza di un Paese moderno come vorrebbe (a parole) essere il nostro.
E’ bastato che un manipolo di più o meno evidenti nostalgici del ventennio sbandierasse lo spauracchio di un cenacolo a tinte “nere” nella piazza paradigma della lotta dei diritti “rossi” (Martiri del 7 luglio), che subito le propaggini di una contrapposta ideologia defunta, almeno nelle sue reali declinazioni politiche, rispolverassero una nuova chiamata alle armi dialettiche. Non meno nostalgiche per la verità, da un punto di vista prettamente temporale, di quelle contro le quali si vorrebbe manifestare.
C’è in questa, ahinoi tutta reggiana riproposizione di un passato che non passa, almeno un doppio insegnamento, o doppia morale che dir si voglia. Da una parte l’evidente impreparazione delle ipotetiche nuove classi dirigenti ad andare oltre gli schemi triti e ritriti che ancor oggi agitano gli incubi dei nonni (almeno allora aveva un senso la battaglia per la libertà), dall’altra l’involontaria legittimazione delle tesi altrui come disperata ricerca di un senso proprio di appartenenza politica. Ovvero esisto nella misura in cui esiste il mio nemico e viceversa. Sostanzialmente le basi su cui si sono fondati, incapaci di rinnovamento anche in quei decenni, i partiti tradizionali fino agli anni ’90.
Sicché con ogni probabilità il rosario di sit in che si svolgerà sabato a Reggio Emilia non avrà nient’altro che il sapore folcloristico degli spettacoli nelle riserve indiane d’America o il gusto melanconico dell’ultima occasione perduta. Sì perché è del tutto evidente che i problemi della nostra società sono stati impietosamente elencati nelle classifiche sulla qualità della vita stilate a fine anno dai quotidiani economici. Ed è del tutto inutile riproporli in questa sede, strillati come sono tutti i giorni dalle cronache cittadine.
Quel che resta del paese reale, in tutt’altre faccende affaccendato, non si accorgerà nemmeno dello spettacolo surreale offerto dal simulacro di aspiranti governanti della cosa pubblica che, chi da una parte, chi dall’altra, ambiscono appunto a traghettarci verso la modernità con meccanismi già belle che morti e sepolti.