Il divario fra Nord e Sud del Paese e la riserva del Pnrr del 40% a favore del Mezzogiorno, tema dell’ultimo incontro della tre giorni conclusasi venerdì 11 novembre, che ha portato a Napoli, nella prestigiosa sede della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, il VII Convegno dell’Aici (Associazione delle istituzioni di cultura italiane), è stato occasione di una serie di riflessioni e contributi fondamentali per il tema generale e mai superato in Italia della questione meridionale, dal doppio punto di vista delle risorse del Pnrr e del ruolo della cultura in quest’operazione straordinaria, che, come dice il presidente della Svimez Adriano Giannola, riguarda in realtà l’intero sistema Paese e il ruolo stesso dell’Italia in Europa. Un Paese, il nostro, che vede da un lato il persistere e l’aggravarsi del divario interno Nord-Sud, ma dall’altro, forse è questa la novità ben conosciuta ma mai detta con semplicità e senza falsi pudori, il distacco crescente fra le regioni fino ad ora “locomotiva” e l’Europa.
“I divari fra Nord e Sud del Paese sono aumentati enormemente – dice il presidente della Svimez – siamo tornati agli inizi degli anni ’50, per quanto riguarda lo iato interno. Ma il divario che più preoccupa la Svimez, che tratta del Mezzogiorno ma nell’ottica dei destini del Paese, è quello, enorme, che sta avvenendo fra il Nord del Paese e il resto d’Europa. Non culliamoci nell’illusione di avere regioni che “trainano”. Lo si verifica adesso, con il riemergere della questione dell’autonomia rafforzata, che altro non è che il tentativo di salvarsi di Regioni in crisi, dinamiche, ben governate, ma che al confronto stanno avvicinandosi (penso a Piemonte e Toscana, Umbria e Marche già lo sono) a essere Mezzogiorno in Europa.
L’Europa è preoccupata di tutto ciò e ci dà 209 miliardi per salvare il Paese. E questo dev’essere il dato di fondo su cui ragionare. Quindi, le quote del 40, del 50, del 60 le interpreto anche al contrario: quelli sono tetti rispetto a esigenze. Noi dobbiamo guardare alle esigenze, e alle strategie nazionali, dal momento che il Pnrr è un Piano Nazionale che va declinato con tutti gli altri strumenti, a partire dai Fondi strutturali della politica d’inclusione che di per sé non può ridurre i divari, se non c’è una politica nazionale coerente con le politiche strutturali della questione sociale. Non a caso i divari sono aumentati, enormemente aumentati. Ed aumentano nella negazione dei diritti di cittadinanza, e qui si torna all’autonomia rafforzata. A che serve? Serve semplicemente a legittimare una situazione data, nella quale i diritti non vengono rispettati: non si rispetta la Costituzione, non si rispetta la legge di applicazione fatta da Calderoli nel 2009, di “attuazione dell’art.119”, che è la chiave del discorso della perequazione che garantirebbe i diritti fondamentali che l’art.117 riconosce. Parlare del 116 comma 3, come dicono autorevoli esponenti di tutti i partiti, “è nella costituzione, si deve attuare”…. Peccato che si dimentica l’ultima riga dell’art. 116 che recita “nel rispetto del 119”, che a sua volta rinvia all’art. 117 cost., ecc. C’è un meccanismo che stiamo infrangendo dal 2001 che continuiamo a infrangere, che oggi vogliamo legittimare. Questo è un rischio enorme, per chi pensa di salvarsi con questo”. Vale a dire “le locomotive”, le regioni più avanzate, “mitteleuropee”.
Ed è questo l’altro grande errore, guardare all’integrazione europea che punta alla Mitteleuropa, che ormai è entrata in crisi con la guerra, mentre ormai si deve guardare (e per questo ci danno 209 miliardi, dice Giannola) a Sud. E il Sud cos’è? “Il Sud è il Mediterraneo, il Mediterraneo è l’Italia, e l’Italia, nel Mediterraneo, è ormai un ospite, non è più la regista, neppure di cose marginali. Arrivano i russi, arrivano i turchi …di questo l’Europa sta cominciando a preoccuparsi, ma noi in Italia non ci preoccupiamo e parliamo di autonomia rafforzata, è una follia”.
La cultura? “Questa è cultura, cultura di base – dice Giannola – e avere fatto questo convegno a Napoli, in questa condizione, è importante, anche per svegliare Napoli. Siamo in doppio regime di intervento straordinario: quello che l’Europa fa (quello che faceva un tempo la Cassa del Mezzogiorno per l’Italia) oggi l’Europa lo fa dicendo all’Italia: finanzio questa operazione per consentirti di salvare il tuo sistema. Tutta l’Italia, non il Sud”. Un’azione che deve osservare alcune condizioni, fra cui ridurre i divari, ovvero, dice Giannola, “rispettare la Costituzione, detto in parole povere, e aumentare la coesione sociale, dal momento che l’Italia si sta disgregando socialmente”.
“Questi due elementi, tradotti in italiano, sono Nord e Sud, tradotti in europeo sono Nord e Sud nel resto d’Europa. L’Europa l’ha capito, oi sembra che stentiamo a comprendere la durezza di quello che è il messaggio europeo”.
In tutto questo, che ruolo ha la cultura? “Direi che Napoli è la capitale italiana della cultura – ricorda Giannola – noi la cultura la conosciamo bene, il Rinascimento, le Repubbliche marinare, come nasce dal Mediterraneo l’enorme ricchezza culturale di questo Paese. Poi però guardiamo la situazione: il Veneto da solo ha molti più turisti di tutto il Mezzogiorno intero”.
Quantificando, “qual è il patrimonio culturale del Mezzogiorno? Almeno il 50%, volendo essere dei contabili molto occhiuti, di quello italiano. Allora c’è un problema. Parliamo delle associazioni: è importantissimo che dal basso si rigeneri un tessuto che nel campo culturale (che è economia, scienza, poesia…) vede Napoli, in questo nuovo intervento straordinario, dove lo straordinario è l’Europa e non più il governo italiano, beneficiaria anche dell’altro elemento di straordinarietà che è il Patto per Napoli. Si salva Napoli ed è un altro intervento straordinario: noi siamo lo straordinario nello straordinario”.
L’immensità del patrimonio culturale italiano e nello specifico di Napoli è fuori di discussione, a partire da snodi fondamentali dimenticati dalla stessa Napoli, come uno dei più grandi patrimoni di archivistica che risiedono nella città partenopea che danno conto ad esempio della nascita del credito e dell’operatività già nel ‘500 dello strumento bancario dello “scoperto di conto corrente”, formalmente nato in Scozia nel 1700, fino ad altri strumenti sorprendentemente moderni per l’epoca. Inventati e poi dimenticati, come le tante sale blindate dei luoghi della cultura di Napoli, dove è possibile chiedere il manoscritto leopardiano di A Silvia, o altre innumerevoli meraviglie, tali da far venire i brividi. Patrimoni che fanno parte della storia della collettività, come gli archivi della Fondazione dell’Istituto Banco di Napoli, che richiedono un grande sforzo di messa a disposizione di tutti proprio per il ruolo di storia collettiva dell’intero Mezzogiorno e dunque dell’Italia, sforzo capace di dare straordinari risultati attraverso la digitalizzazione.
“Il patrimonio culturale, enorme, ha un valore fortissimo a livello nazionale – dice Giannola – quando Filangieri scrive la “Scienza dell’amministrazione”, Beccaria gli scrive “sento in te Ercole, e vedo in te la nostra nazione italiana”. La nazione italiana esisteva da sempre e si doveva incontrare. L’Illuminismo, che è il grande, primo elemento di incontro, che porta a tragedie tremende come quella del 1799, nasce a Napoli e si collega con il movimento milanese di, per citare un nome, Cattaneo”.
Ed è questo l’asse che dobbiamo ricostruire, “se vogliamo usare il Pnrr veramente, non dibattere fra la Regione che vuole la scuola, quella che vuole funzioni nella sanità, e invece avere le Regioni che lavorino insieme a uno Stato centrale che funzioni, che deve funzionare da regista, non da arbitro, com’è stato spacciato ideologicamente da almeno 30 anni”. Un asse che non è solo del sistema italiano, ma che riguarda l’intera Europa, e, che per quanto attiene l’Italia, si basa sulla riacquisizione culturale, come la definisce il presidente della Svimez, del ruolo italiano di apertura all’Europa dell’Africa, di recupero della sponda del Mediterraneo come sponda sud d’Europa, di fattore di inclusione della Turchia, riprendendo un processo che, bruscamente interrotto, ci riconsegna il tema in termini molto diversi, rispetto a prima.
Lo Stato, continua Giannola, se ha “uno strumento straordinario come quello che può utilizzare ora, deve essere un regista, deve avere un’idea del Paese, deve avere un’idea di dove andare, e il Mediterraneo è il destino dell’Italia, che lo voglia o meno. Questo vuol dire parlare all’Europa con chiarezza. Rotterdam, l’Olanda, non possono essere quello che sono oggi, perché la prospettiva, la globalizzazione, è qua. Il Mediterraneo è un quasi oceano, non è più un mare di transito. E’ un quasi oceano dove si incontrano l’Africa, l’Asia e l’Europa”. Per tacere degli USA, aggiungiamo noi.
Questa consapevolezza è cultura, soprattutto nel senso di “interiorizzare queste conclusioni con le modalità più civili e partecipative, più dialoganti che si possano tenere”, tenendo fermo il punto del Mare Mediterraneo come fattore di incontro.
“Oggi il Mare Mediterraneo è una barriera, è necessario trasformarlo da frontiera a mezzo di connessione come nei fatti è. Da Suez si deve arrivare in Sicilia, non tocca andare ad Amburgo e Rotterdam, a meno che la destinazione dei container non siano Rotterdam , il Nord Europa e così via; ma se a Milano deve arrivare la merce da Suez passando da Rotterdam, qualcosa non funziona”.
Perciò Genova e Trieste non si devono sentire le depositarie dei fondi dei porti strategici. “Strategici sono i porti della Sicilia, della Campania, di Genova, Trieste…. E’ il sistema Italia che deve ricostruirsi su questa consapevolezza comune. E questa è cultura, è una battaglia che le istituzioni culturali devono fare conoscendo e andando fino in fondo a scandagliare il loro patrimonio”.
“E’ un momento drammatico e magico al contempo – conclude Giannola – una riacquisizione culturale fondamentale”.
Senza di ciò, avremo un sistema di 20 regioni di cui 5-6 si credono stati. “Non è neanche federalismo, ma con-federalismo, ovvero garanzia dei diritti dei (soli) propri cittadini, che vuol dire uscire dalla Costituzione e non rispettare la legge. Noi oggi dobbiamo rientrare nella Costituzione e nella legge proprio in funzione di una grande operazione culturale”.
Foto: Adriano Giannola