Non sparate sul pianista, ma sul regista un po’ sì

luciaLo sparo sia del tutto metaforico, lo schiaffo esclusivamente morale: meglio ricordarlo di questi tempi. L’anatema va in particolar modo alla regia di questa Lucia di Lammermoor, in scena al teatro Valli venerdì 4 e domenica 6 marzo, che poco ha di convincente e appagante.

Certo se pensiamo ad un’opera la prima emergenza è quella delle voci, della musica. Ed in questo caso Lucia-Gilda Fiume ha vocalmente impersonato molto bene la folle scozzese, e anche malgrado un paio di imprecisioni nella fase più complessa della partitura, sul terzo atto, ha per il resto ricoperto egregiamente questa difficilissima parte da soprano, con intelligenza e abilità.

img_65851_110112Anche Edgardo-Giuseppe Gipali ha concluso con grandi apprezzamenti la sua performance, specialmente il duetto del primo atto e il finale del secondo, in cui tutta la potenza e l’espressione vocale vengono messe alla prova.

In tono minore, ma comunque armonizzato allo spettacolo, il resto del cast, affiatatissimi orchestra e direttore, un po’ lofio il coro all’inizio ma con ampi margini di miglioramento nel corso dello svolgimento. Ma la regia… Un dramma in due atti.

Ora, nell’opera la musica è tutto. Facciamo un 99,9%. Ma rimane uno spettacolo, una messa in scena. È teatro. Una regia lungimirante, flessibile, in grado di capire la storia ma anche gli interpreti ci vuole. Si vede. E capisco che i budget oggi siano risicatissimi. Ma la povertà di questa rappresentazione non era (solo) nei mezzi -condizione comunque dignitosissima-, ma nelle scelte.

img_65851_110111Le azioni in scena, i movimenti dei personaggi nello spazio erano qualcosa di desueto, superficialmente sentimentale e naif allo stesso tempo, quasi sempre in contraddizione con lo spirito dei ruoli e con il personale dei cantanti. Lucia bamboleggia in scena con Alisa tra abbracci e girotondi, rotolandosi – non metaforicamente – nelle sue illusioni e vorticando fisicamente su sé stessa e verso un rovinoso affetto. Enrico entra in scena roteando la spada al vento, da solo, con la maestria e la competenza di un Falstaff. Nell’ultimo atto il corpo senza vita di Arturo viene fatto rotolare dallo scalone centrale e tutti in sala, ne son convinta, hanno temuto finisse direttamente nel golfo mistico.

L’effetto comico involontario è assai deleterio nella tenuta tragica di una rappresentazione, anche quando musica e voci son perfette.

A ciò aggiungerei un pastiche casuale nei costumi (ufficiali napoleonici, elegante borghesi bell’epoque, dame con mise setose che potrebbero essere prese dagli anni Cinquanta) e una scelta un po’ kitsch delle proiezioni che facevano da ambientazione.

Senza contare la povera Lucia vestita, tra tutti, senza il minimo rispetto per tempi, ambientazioni, gusto, buon senso.

Saranno anche dettagli ma si sa, il diavolo, dove si annida.

P.S. E’ affascinante l’abitudine dei radicati melomani di commentare immediatamente e a voce alta pecche e cedimenti delle esecuzioni canore.

Non so se sia perché, appassionati di Ottocento, agiscano come fossimo ancora in quei teatri meravigliosamente vissuti, ove il bel canto si arricchì delle più calorose invettive del pubblico o perché, ad una certa età, si diventa duri d’orecchio e si parla meno piano di quanto si crede.

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