Non solo SanremoCosì la crisi e lo Stato stanno distruggendo le imprese

Nel 2012 oltre 104 mila imprese sono entrate in crisi o hanno dovuto chiudere i battenti

Ci sono i cani adottati da Monti e Berlusconi, le dimissioni del Papa e il Festival di Saremo. Ma c’è poco spazio sui giornali e in campagna elettorale per la crisi, quella vera. 12mila fallimenti, 2mila procedure non fallimentari e 90mila liquidazioni: sono i numeri dell’anno più nero per imprese italiane. Nel 2012 oltre 104 mila imprese sono entrate in crisi o hanno dovuto chiudere i battenti, un valore che supera quello già molto elevato del 2011 (+2,2%). E’ una fotografia allarmante quella fornita da Cerved Group che evidenzia un boom delle nuove forme di concordato preventivo, introdotte dalla riforma entrata in vigore a settembre: si stima che nel solo quarto trimestre dell’anno siano state presentate circa mille domande, soprattutto nella forma del concordato con riserve, come è accaduto pochi giorni fa per Coopsette.

Una situazione aggravata dallo Stato.  Sono infatti 240mila le piccole imprese (solo le piccole, quelle più a rischio chiusura) creditrici nei confronti della Pubblica Amministrazione e che, contemporaneamente, hanno ricevuto una cartella esattoriale di Equitalia. Un fallimento su tre, stima una ricerca della Cgia di Mestre  è stato provocato principalmente dai ritardi nei pagamenti.

La recessione ha avuto un impatto notevole nel comparto dei servizi (+3,1%) e nelle costruzioni (+2,7%), mentre la manifattura – pur con un numero di fallimenti che rimane a livelli critici – ha registrato un calo rispetto all’anno precedente (- 6,3%). Dal punto di vista territoriale, le procedure sono aumentate nel Nord Ovest (+6,6%) e nel Centro (+4,7%), mentre sono rimaste ai livelli dell’anno precedente nel Sud e nelle Isole. Nel Nord Est i casi sono invece diminuiti, un dato compensato dal forte incremento delle liquidazioni, che ha portato il totale di chiusure in quell’area a superare quota 20 mila (+8,6% sul 2011).

Il fenomeno delle liquidazioni volontarie ha riguardato tutta l’economia: se si considerano le “vere” (non contando le cosiddette scatole vuote) società di capitale, si registrano aumenti con tassi a due cifre nel terziario (14%), nelle costruzioni (13,8%) e nell’industria (13,1%). Dal punto di vista geografico, il fenomeno segue una corsa a due velocita’: un boom nel Nord (+31,2% nel Nord Est e +25,1% nel Nord Ovest) e una crescita più moderata nel Centro-Sud (+9,5%).

Dall’inizio della crisi nel 2009 si contano infatti più di 45 mila fallimenti. Il numero maggiore ha riguardato imprese del terziario, 21 mila, ma i dati indicano che è stata l’industria a pagare il conto più salato alla recessione: il totale delle società di capitale manifatturiere fallite tra 2009 e 2012 ammonta infatti al 5,2% di quelle che avevano depositato un bilancio valido all’inizio del periodo considerato, contro una percentuale pari al 4,6% nelle costruzioni e al 2,2% nei servizi.

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