
Grazie a Rubiera la nostra provincia si ritrova d’amblè ad avere più stelle Michelin di Parma e Piacenza. Colpo di scena infatti nella fresca di stampa Guida della guide che tutto il mondo buongustaio attende anno dopo anno con l’acquolina in bocca. Stanno infatti da oggi uno di fronte all’altro nel comune ultimo avamposto prima che la provincia reggiana, correndo verso sud, ceda il passo a quella modenese ed hanno entrambi una stella. Baciata da molto tempo dall’agognato astro “La Clinica gastronomica da Arnaldo” vede davanti a sé l’astro nascente della già ottima “Osteria del Viandante”.

Che l’ad di Gucci, Marco Bizzarri (ex compagno di classe di Bottura) ha recentemente rilevato dopo essersi deliziato il palato per anni al cospetto enogastronomico dei precedenti proprietari e numi tutelari di quella fantastica cucina Dolores Boretti e Roberto Gobbi. Piazzando a capo dei fornelli lo chef Jacopo Malpeli (che sta reinterpretando i piatti della tradizione emiliana ma senza stravolgere le creazioni della Boretti) da S.Ilario, reggiano di nascita e parmigiano d’adozione, già in forza all'”Osteria della Peppina” di Alseno ed alla mitica “Locanda Mariella” di Fragno. Trait d’union tra le due gestioni anche il reggiano Mauro Rizzi, noto in tutt’Italia per la sua grande cultura enologica specie per i suoi anni di ricerca sui vini francesi ed elemento di continuità con la storica gestione di Roberto e Dolores.

E Reggio che fa? Nulla o meglio si desertifica da un punto di vista di eccellenze culinarie. Trasferitosi chef D’Amato, chiusi i battenti di “Marta in Cucina” e di altre trattorie sia tipiche che con ambizioni più innovative, il centro storico reggiano è quello tra le città emiliane in cui il piatto letteralmente piange di più. “Ca’ Matilde” di Andrea Incerti Vezzani, l’altra stella Michelin reggiana, se ne sta infatti là sulle prime colline, lontano da piazza Prampolini.
D’altronde il gastronomo “comunista”, prof.Alberto Capatti l’aveva profetizzato tempo fa tonitruante sui media: “beati voi a Reggio che non avete ristoranti pentastellati” (e dunque il turismo del finedining e delle mostre di arte contemporanea questo sconosciuto, aggiungiamo noi). Tirando la volata al concetto di “Cucine del Popolo” sotto cui si cela una visione di nostalgia rurale e malcelato provincialismo molto poco incline a fare i conti con la contemporaneità culturale. O propalandoci sui social selfie di assessori davanti ai McDonald’s, usanza questa invece assai poco affine alla gastronomia intesa come volano a sua volta di cultura e dunque di turismo.

D’accordo, i “comunisti” non hanno mai mangiato i bambini come recita un becero proverbio dal gusto vagamente reazionario; però potrebbero anche pensare un po’ più in grande per la propria città e lasciar perdere slogan e declinazioni anni ’70 pure per ristoranti e osterie. Come fa ad esempio il compagno Fausto Bertinotti, sostenitore delle Cucine popolari che poi però va a darsi un’aggiustatina al palato da Pinchiorri dove degusta pure, come ha rivelato pochi giorni fa lo stesso Giorgio Pinchiorri, una bottiglia di Romanée-Conti, vino di Borgogna che in carta oggi nella celebre Enoteca tristellata fiorentina può viaggiare alla modica cifra di 40 mila euro
Ah questi della sinistra al caviale…che mandano la massa alle mense del popolo mentre loro si sorbiscono i vini degli sceicchi e dei turbocapitalisti.