Parma – Il 9 ottobre il presidente turco Erdoğan ha annunciato l’inizio di operazioni militari nel nordest della Siria contro i curdi siriani: bombardamenti seguiti dall’invasione di terra per creare ai confini della Turchia una zona cuscinetto di circa 30 chilometri. Il primo obiettivo è indebolire il popolo e le milizie curde, da sempre viste come una minaccia alla sicurezza nazionale, così da impedire la creazione di una regione autonoma curda nel cosiddetto Rojava; le milizie curde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), sono considerate da Ankara vicine al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK *), definito da Erdogan gruppo terrorista (nel 2018 la Corte di Giustizia Europea ha ufficialmente dichiarato che il PKK non è un’organizzazione terroristica ma un movimento politico del tutto legale.). Il secondo obiettivo è il ricollocamento di centinaia di migliaia di profughi siriani, oggi presenti in Turchia, in un territorio in cui si stima che vivano circa due milioni di curdi siriani. Inoltre mira a compattare il consenso interno in Turchia.
Un rischio è che la Turchia potrebbe trovarsi contro parte della sua popolazione curda (15-20% del totale) e debba affrontare un ritorno della violenza nelle zone a maggioranza curda nell’est del paese e un aumento di diserzioni dei suoi soldati di etnia curda, come accadde negli anni Novanta.
La soluzione più realistica sarebbe stata invece creare un territorio formalmente sottoposto all’autorità siriana, ma di fatto autonomo, sul modello del Kurdistan Iracheno.
La comunità internazionale è praticamente assente dallo scenario dell’aggressione; il Consiglio dell’Unione Europea non è riuscito neanche a trovare un accordo per approvare un embargo totale delle armi nei confronti della Siria, lasciando valutare ai singoli Stati l’opportunità di bloccare le esportazioni. Ma abbandonare la popolazione curda, che ha avuto un ruolo fondamentale nel contenimento e nella sconfitta di Daesh, rappresenterebbe un tradimento dei valori stessi per i quali tante vite sono state sacrificate. Ricordiamo che gli Stati Uniti hanno offerto appoggio ai Curdi anche in vista della creazione di un territorio in Siria che possa godere di grande autonomia dal governo centrale.
I curdi sono un gruppo etnico originario di una zona nota come Kurdistan Sono circa 30 milioni, per lo più islamici sunniti; abitano gran parte della zona montagnosa a nord della Mesopotamia; il loro territorio è diviso tra Turchia e Iran (il Kurdistan settentrionale), Siria e Irak (il Kurdistan meridionale). Nel corso dei secoli hanno subito diverse repressioni da parte di questi stati.
Tra le più recenti ricordiamo il tremendo attacco chimico a Halabja (16 marzo 1988), durante la guerra Iran-Iraq; nel giro di mezz’ora morirono più di settemila persone. L’Occidente allora si limitò a una timida manifestazione di dissenso nei confronti di Saddam Hussein, nonostante questi avesse palesemente agito contro i diritti umani usando un’arma bandita dalla convenzione di Ginevra del 1925.
Dopo la sconfitta dell’impero ottomano nella prima guerra mondiale, il vasto territorio dell’impero viene smembrato e affidato al “mandato” di Francia (Siria e Libano) e Gran Bretagna (Palestina, Giordania e Irak). Le aspirazioni nazionali dei Curdi vennero completamente ignorate, e il loro territorio diviso tra Turchia, Iran (il Kurdistan settentrionale), Siria e Irak (il Kurdistan meridionale).
I Curdi sono il popolo più «tradito» di sempre. Inoltre il controllo delle fonti di petrolio non è estraneo al dramma dei Curdi. Oggi lo status dei Curdi è quello di una minoranza nei rispettivi Paesi che abitano.
Possiamo condividere le parole di Massimo Cacciari: “. Avevamo invocato il suo aiuto e il suo sacrificio (del popolo curdo, ndr). …… I Curdi sono scesi in lotta anche per noi. E’ intervenuto un patto, evidente come la luce del sole, non importa nulla se scritto o meno: che saremmo stati al loro fianco nella loro sacrosanta rivendicazione di uno stato nazionale. E questo patto noi lo abbiamo stracciato. ….. E i Curdi crepino pure, basta che Erdogan si tenga i migranti, naturalmente a un equo canone”.
(*) Il Pkk, formazione originariamente di ispirazione marxista che combatte per l’indipendenza del Kurdistan; fu fondato sul finire degli anni ‘70, tra gli altri da Abdullah Ocalan leader carismatico, arrestato nel 1999 e tuttora in carcere. Ingaggia una durissima lotta con Ankara da oltre 30 anni, nel corso dei quali sono morte circa 40mila persone.