Non è una riapertura degli spazi e alla consultazione, ma dal 27 novembre le biblioteche rendono disponibile il prestito su prenotazione dei libri. Basta richiederli online e andarli a ritirare. Nell’occasione abbiamo incontrato Giordano Gasparini, direttore della “Panizzi” e delle biblioteche decentrate di Reggio Emilia, come dirigente amministrativo di riferimento dell’Assessorato Cultura, per fare il punto sulla situazione covid.
Direttore, qualcosa si muove…
Sì, avevamo riaperto il 31 ottobre tutti gli spazi anche con la possibilità di prendere i libri a scaffale, le nuove sezioni, la loggia, il primo piano di via Malta e la sala mostra, ma dopo sei giorni le abbiamo dovute richiudere. Da oggi almeno la Regione ci permette di far prenotare online un libro e venirlo a ritirare: entrando da via Farini, contingentati, si ritira e si esce da via Malta.
Non si vive di solo pane.
Non si può prescindere dal mondo della cultura e lo sarà anche nel momento della ripresa; dobbiamo entrare in questo ordine di idee, questa vicenda prima o poi finirà. In questo senso è necessario prepararci a non andare in ordine sparso o improvvisato per affrontare la nuova fase, che sarà decisiva. A proposito di ciò, vorrei sottolineare la priorità della “socialità”, quella che ci è venuta a mancare, perché non esiste cultura senza socialità, senza partecipazione. Questo senza nulla voler togliere al valore delle nuove tecnologie, che sono un importante supporto, ma non possono surrogare il valore della relazione e della fisicità. Io qui non vedo l’ora di poter riaprire realmente, avere gli ambienti pieni di persone, di bambini delle scuole, di gruppi di lettura.
La reazione alla seconda chiusura dei luoghi di spettacolo e di cultura è stata forte da parte di tutto un mondo di operatori, interpreti e autori, ma anche all’interno di esso sono nate correnti di un pensiero pragmatico teso a privilegiare da un lato l’emergenza sanitaria o, in altri casi, a denunciare come la pandemia abbia evidenziato le contraddizioni esistenti, dai temi delle retribuzioni, della fiscalità, agli assetti contrattuali, pensionistici e via dicendo, quasi come le decisioni sul se e come tenere aperti i luoghi di cultura e spettacolo dal vivo dovesse essere una decisione da assumere anche in considerazione di tali preesistenti criticità di altro segno e non di strategie connesse ai soli aspetti epidemiologici in senso stretto.
Secondo lei si è palesata un’area di pensiero che in Italia riserva ai temi della cultura e dell’arte una non sufficiente attenzione, una certa insensibilità e c’è il pericolo che, una volta usciti dalla pandemia, si riverberino degli strascichi di quanto sta accadendo in questi mesi anche nel futuro?
A volte c’è una retorica quasi elitaria da parte del mondo culturale che rischia di allontanarci da quello reale. È indubbio che abbiamo subito delle ripercussioni pesantissime, ma come altri settori dobbiamo prendere atto che siamo in una fase particolare e dobbiamo prepararci a riprendere nel modo migliore. La chiusura anche totale non esclude del tutto la possibilità di continuare a produrre e offrire servizi. Credo che la priorità sia oggi l’aspetto sanitario.
Certo saranno necessarie le risorse necessarie per ripartire, ma non credo ci sia un accanimento contro il mondo della cultura e ci sono tutte le condizioni per ripartire al meglio, mettendo a punto i meccanismi più idonei. Noi viviamo di produzione, dove c’è estro, creatività, che sono valori senz’altro fondanti. Lo sviluppo del prodotto culturale è da salvaguardare e Stato e Regione stanno mantenendo i finanziamenti anche davanti a una ridotta produzione. Ma la vera sfida per il futuro è quella della domanda culturale. Dobbiamo trovare gli strumenti per allargare sempre di più tale esigenza. Sgravi fiscali, promozioni sui biglietti, finanziamenti ulteriori, per dare ai cittadini la possibilità di vivere sempre di più le proposte delle istituzioni culturali.

È un richiamo a una strategia che raccordi esigenze specifiche e una visione complessiva della società del dopo-covid?
Parliamo di sfide storiche e per vincerle dobbiamo fare sistema, non basta fare una bella mostra, uno spettacolo avulso da progetti coordinati. A Reggio Emilia abbiamo una situazione molto positiva in questo senso; dobbiamo continuare a individuare le cose essenziali da fare, non frammentare il nostro lavoro e dare un peso politico alla riorganizzazione generale della città dopo il covid. È necessario fare fronte comune e presentarci con un progetto sulla cultura, dalle istituzioni alle singole figure, per venirne fuori. Il mondo culturale vive di programmazione e questo è un elemento di grande difficoltà in un momento come quello attuale. Dobbiamo agire con grande senso di responsabilità mettendo insieme le forze. Sviluppo, innovazione, crescita non sono solo parole e dobbiamo spiegare bene cosa significhino per il mondo in cui viviamo; qualche fondamentale contributo la cultura può darlo senz’altro a questa nuova fase. Non per tornare alla vecchia “normalità”, ma per fare tesoro delle acquisizioni derivate dalla crisi, utilizzando meglio il territorio, l’ambiente, la mobilità, l’organizzazione del lavoro e fare un salto verso nuove progettualità.
Le relazioni esistenti fra gli enti della città e la posizione nevralgica della rete delle biblioteche la soddisfano? Si rema nella stessa direzione?
Io sono molto soddisfatto. Il ruolo dell’Assessorato alla Cultura, sia da un punto di vista politico che tecnico, sta diventando sempre più di coordinamento; di accompagnamento per costruire un progetto complessivo. Noto che, grazie anche alle persone che dirigono le singole istituzioni, oggi la situazione è molto positiva.
L’esempio dell’attività estiva è lampante: nelle condizioni critiche in cui ci trovavamo, Assessorato, I Teatri, la Fondazione Danza, il Peri-Merulo, Palazzo Magnani, l’Arci, i Chiostri di San Pietro hanno elaborato un calendario di iniziative di tutto rispetto. Penso anche al bando per le associazioni culturali: ha distribuito 200 mila euro a trentacinque associazioni, quadruplicando i finanziamenti rispetto agli anni passati ed erogando il 50% degli importi subito, ad approvazione dei progetti presentati. L’Assessorato è una sorta di playmaker che fornisce degli assist ai soggetti attivi sul territorio secondo una logica coerente.
La vostra attività, con le limitazioni di questi mesi, ha comunque subito ripercussioni?
È saltato l’evento dedicato a Ugo Bellocchi, anche la presentazione di un inedito di Silvio D’Arzo ritrovato nel suo fondo da noi custodito, avremmo anche un’iniziativa su Corrado Costa del quale ricorre il trentennale dalla scomparsa; stiamo curando la pubblicazione della sua opera omnia, vedremo a inizio anno; su Rodari abbiamo presentato online un meridiano Einaudi… Non voglio spostare tutto quel che proponiamo su eventi in streaming, rimanderemo, ma la presenza di utenti sulla piattaforma EmiLib-Emilia Digital Library, la biblioteca digitale di Bologna, Ferrara, Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, è comunque quintuplicata in questi mesi di clausure e chiusure.
Lei ha vissuto tante fasi culturali di questa città sempre rivestendo ruoli di riferimento. Come giudica la situazione attuale, rimpiange alcuni aspetti delle stagioni passate?
Mah, ogni periodo ha le sue peculiarità e riferimenti. Mi pare che sia importante il nuovo ruolo dell’Assessorato Cultura, che una volta accentrava in prima persona e sul Comune delle attività le quali oggi, anche perché sono cambiate le regole amministrative, vengono gestite in modo diverso. Diamo degli indirizzi di politiche culturali alle diverse istituzioni e ai protagonisti dei fermenti locali, con l’obiettivo di trasmettere alla città un progetto forte e offrendo grazie alla nostra struttura la possibilità di poterlo comunicare e valorizzare in modo adeguato. L’istituzione amministrativa opera mettendo a sistema le risorse di competenze e creatività presenti sul territorio, assumendosi il compito di coordinarle e renderle coerenti a una visione complessiva dei rispettivi ruoli e delle molteplici risorse innovative esistenti.