“Una strada agricola, che progressivamente è divenuta prima strada di passeggiate, poi strada di transito, contemporaneamente trasformata in una strada di quartiere e che ora vorrebbe essere strada di paesaggio” è quanto si legge su uno degli ultimi numeri (in totale 4) de L’Eco di Via Settembrini, simpaticissimo finto foglio di testata locale che ha esordito nel 2009 con due uscite retrodatate rispettivamente 1965 e 1983, per aiutare i vecchi cittadini della zona a ricordarla sgombera, i nuovi a immaginarsela.
Niente di troppo complicato (ancora meno necessario) dato che non si tratta di un tuffo nel passato, i ragazzi della mia età se la ricordano bene, e i nuovi arrivati possono confrontarsi con il satellite di Google, che evidentemente non è rapido quanto a volte la nostra burocrazia nel concedere permessi per costruire. Per poi constatare i danni, certo.
“Lungo I Bordi” è il piano, con concorso e rispettivi vincitori annessi, per un progetto che ha proprio questo obiettivo: quello di mascherare un’assenza di pianificazione e processi burocratici per noi italiani sempre lentissimi ed ingarbugliati ma che in certi casi stupiscono e seminano rapidamente e silenziosamente sul nostro paesaggio naturale prodotti ‘niente male’, che proprio perché ‘studiati alla perfezione’, proliferano e danno vita in pochi anni a numerosi altri episodi vicini, così, a ricordarci quanto è facile impiegare cemento senza garanzie di vendita.
Il primo passaggio in questo processo sembra proprio lasciare costruire a piacimento secondo logiche impossibili da rintracciare nel contesto, poi costringere il paesaggio e i cittadini a conviverci. Attraverso magari nuovi piani, iniziative per la coesione sociale (se necessaria, quanti appartamenti invenduti contano le nuove palazzine?), quindi altri soldi dei cittadini per coprire le sviste dei responsabili. Apporti pseudio biologici ad un paesaggio in origine totalmente naturale che non avrebbe alcun bisogno degli aiuti di un paesaggista per farsi riconoscere come tale.
Il progetto in ogni caso non è ancora stato realizzato (è rimasto fermo all’ultima pubblicazione de L’Eco, probabilmente), e mi auguro questo non accada, poiché si tratterebbe di una forzatura: la forma corretta, tornando alla frase introduttiva, non è “vorrebbe essere strada di paesaggio”, ma “tornare ad essere strada di paesaggio”, il che proprio secondo natura non è logicamente possibile, o se qualcuno vuole ancora crederci, almeno non in Via Settembrini. Le nuove palazzine lasciano ben poco spazio a termini come “idilliaco”, utilizzato dall’autore del piano di riqualificazione: a fronte di simili trasformazioni i campi rimasti hanno perso la loro poesia, e non sono certo “orti urbani, fattorie didattiche, vendita diretta dei prodotti tipici, spazi di comunione e servizi alla città, agroasili”, la cui funzione è quantomeno incerta, a sostituire quella che fino a pochi anni fa era una autentica strada di paesaggio.