“Nessuno è perfetto”? Il cinema di Billy Wilder ci è andato vicino

Un libro uscito per le Edizioni Clichy a cura di Gabriele Rizza

Chiedete a uno qualunque dei nati nel dopoguerra quali sono i film indimenticabili che li hanno accompagnati nel loro percorso di vita e nell’elenco sicuramente ci trovate Billy Wilder. Quei boomer potrebbero andare a vedere per la decima volta “A qualcuno piace caldo” e ridere con la stessa spontaneità della prima volta alla battuta finale: “Nessuno e perfetto”. 

Il fatto che Wilder non fosse poi così convinto che si trattasse di una battuta vincente la dice lunga sul genio dell’ebreo austriaco giornalista e sceneggiatore, ballerino per sbarcare il lunario, cresciuto sui set del grande cinema di Weimar prima di riparare negli Stati Uniti all’avvento di Hitler con tanti grandi colleghi (Fred Zinnemann, Erich von Stroheim etc.) del mondo di Murnau e Lang.

Vale sempre la pena riflettere sulla vita e la creatività di un artista geniale, in particolare qualcuno che ha contribuito a definire il tuo mondo fantastico e a orientare i tuoi gusti al tempo in cui non c’era la bulimia dell’immagine. Per conoscere Wilder basta un libretto uscito per le Edizioni Clichy nella collana Sorbonne a cura di Gabriele Rizza, uno degli esponenti storici della critica teatrale e cinematografica toscana.

Il titolo gioca su un topos nato da una delle più classiche battute del grande schermo “è la stampa, bellezza”, (“that’s the press, baby”) detta da Humphrey Bogart alla fine del film di Richard Brooks Deadline, 1952: “Billy Wilder, E’ il cinema, bellezza”. Il libro contiene una biografia molto dettagliata della vita di Wilder, un saggio di Rizza, un’analisi di tre pellicole di generi diversi (noir, dramma, commedia) e un esilarante florilegio di alcuni detti o aneddoti raccontati dal protagonista.

Wilder è stato un maestro della commedia hollywoodiana e la sua vis comica precede e non sfigura di fronte a quella più contemporanea di Woody Allen. Ma a differenza del suo più giovane collega Wilder aveva la capacità di essere altrettanto grande nelle mille variazioni del dramma: sapeva spaventare come Hitchcock (La fiamma del peccato) e immalinconire fino alle lacrime (Il viale del tramonto) oppure indignare sulla disumanità a cui può giungere la lotta per l’affermazione dell’individuo nella società americana. (L’Asso nella manica). Tutti e tre classici nel loro genere, capolavori di tutti i tempi. Del resto il comico confina con la tragedia così come la  vita stessa dell’uomo che ha conosciuto la fine della sua famiglia ad Auschwitz.

La ricerca delle origini della genialità di Wilder è certamente la chiave di lettura del libro di Rizza. “La commedia wilderiana , infuocata mistura di umorismo ebraico, germanico e yankee, assume toni aspri e inquieti diversi dalla perfezione ovattata e rarefatta dell’universo di Lubitsch”, scrive l’autore. Ernst Lubitsch e Howard Hawks sono stati i suoi maestri nell’arte della commedia americana leggera dove lui ha primeggiato insieme a Blake Edward.

Ma “il ballerino” Wilder li ha superati. Il regista nato a Vienna nel 1909 aveva fatto proprio il meglio che nel campo della scrittura e dell’immagine aveva espresso la Germania repubblicana, dell’umorismo ebraico impietoso soprattutto con se stesso e il mondo di Hollywood: “A voler essere puntigliosi – scrive Rizza – più che un ballerino sarà un coreografo. Per quel senso geometrico degli allestimenti, la precisione degli incastri, la coordinazione dei movimenti, la coralità della messinscena, la distribuzione dei ruoli, le prime parti e le seconde file. Un’alchimia mozzafiato”.  

Il punto essenziale per capirlo è il fatto che Wilder è stato prima di tutto un grande sceneggiatore che crede nell’importanza primaria della parola. Il suo – scrive il critico tedesco Claudius Seidl citato dall’autore che ne condivide il giudizio – “è un cinema basato più sul dialogo scoppiettante che sulle acrobazie della macchina da presa. Sono le parole a conferire ai suoi film la vivacità e l’eleganza che li contraddistinguono”. Lui stesso ha voluto che sulla lapide della sua tomba a Los Angeles, dove è morto nel 2002, fosse scritto: “Sono un scrittore, ma in fondo nessuno è perfetto”.

La foto di Billy Wilder sulla copertina del libro

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