-
E’ sempre interessante notare come siamo passati da un mondo tutto sommato reale, in cui le cose avvenivano o non avvenivano a seconda del caso, dell’interesse, della voglia di chi ci metteva mano, ad un mondo in cui tutto – anche gli alberi che cadono nella foresta, che lo facciano silenziosamente oppure no – è condizionato dalla Febbre della Classifica. Come in un terribile incubo post prandiale da peperonata, protagonista Maurizio Seymandi, vediamo gli avvenimenti dispiegarsi non già in base alla cronologia, o per nessi causali, ma bensì in ordine di gradimento.
Abbiamo classifiche per ogni cosa sotto il sole, con relative hit della settimana, produttori che spingono per vendere più magliette e groupies scatenate che fanno imbarazzanti professioni di fede a seconda dell’estro del momento. In queste settimane, ad esempio, siamo nella Top Ten della Corruzione, dopo aver galleggiato nell’immaginario collettivo pigramente a metà classifica per una trentina di anni; questo, nonostante lo sgolarsi di critici musicali quali Piercamillo Davigo, con le vene gonfie sul collo a sostenere che a) gli U2 sono gli Inti Illimani degli anni ’90, b) i Pearl Jam hanno fatto un solo disco degno di questo nome, c) un Paese in cui vengano sistematicamente eliminate le leggi che permettono il controllo e la punizione di chi delinque non è un Paese poi così sano. Oggi, invece, il risveglio dal sogno ci illustra una posizione di assoluto privilegio: 67esimi, ben dietro a tutte le altre nazioni del Primo Mondo, con realtà quali Ruanda, Turchia, Lituania a farci gli sberleffi.
Scandalo assoluto di tutte le menti benpensanti italiane e non, con capi cosparsi di cenere e richieste giacobine di ceste di capocce, prima di fermarsi un attimo a considerare come si tratti in realtà di indici di corruzione percepita, non realtà evangelica. Anche solo l’idea di essere un Paese più corrotto degli Stati Uniti, in cui l’intero sistema legale dipende da giudici il cui parere è Legge incontrastata, o che da un secolo spaccia commesse per la ricostruzione in tutto il mondo dovrebbe far quantomeno sorridere. E’ possibile essere più corrotti, diciamo, di Hong Kong, in cui tutto per definizione è in vendita? O di Macao, progettata per essere al di fuori di qualsiasi controllo? O della Tunisia, sospesa tra accordi commerciali di millenaria tradizione, welfare fermo al ‘400 e residui di colonizzazione vivi e presenti? O della Spagna, in cui gli strascichi del Franchismo si sono sovrapposti a boom economici basati su Fondi europei piovuti dal nulla e caduti non si sa come (si sa, si sa) perlopiù su di una edilizia selvaggia?
Forse sì, ma con un costante e capillare impegno e con crescente volontà di innovare, tutte cose che a noi italiani, checché se ne dica, non fanno certo difetto. Così, tra uomini della strada che gridano allo scandalo e presidenti del Consiglio giovani e arrembanti, si profila una stagione molto impegnativa per corrotti e corruttori, nell’immediato futuro; i primi tra il timore ed il sollievo che un sistema basato sulle mazzette possa smettere di funzionare, i secondi gravati dagli stessi dubbi con in più la sorpresa anche un po’ stizzita di chi ormai si era abituato a fare i propri comodi con aspettative di totale impunità. E noi, che non siamo mai stati avvicinati da nessuno che ci volesse corrompere e ci sentiamo a tratti anche un po’ sminuiti: cosa siamo, i figli della serva?