D’accordo, l‘ultimo Spadoni ha lasciato un tantinello a desiderare: le vicende delle Fiere e del Park Vittoria rischiano e raschiano di offuscarne l’immagine, controvertibile se vogliamo ma anche condivisa, di un ombroso caterpillar cattolico deciso a portare avanti le proprie idee socio-utopistiche di città. Diciamo che, per lavarci pilatescamente le mani davanti a fatterelli giornalisticamente interessanti assai, l’ultimissimo Spadoni si è praticamente dovuto occupare di tutto. Anche di vicende a lui poco congeniali; soprattutto perché è stato di fatto il vero sindaco di Reggio ad irresistibile ascesa di Delrio completata. Ugo Ferrari era il reggente (alias il reggitore di moccolo tra eterni innamorati dossettiani) ma Spadoni il vero e unico “facente funzione”. E l’ha fatta; maluccio per i detrattori. Benino per i sostenitori.
Ma per il primissimo Mimmo Spadoni, quello del Delrio first e a tratti anche il secondo, quello del Delrio-bis, va spezzata una lancia da oplita, non fosse per il modus tutto penitenziale del nostro di addossarsi il peso delle discusse scelte amministrative: quando sacramentiamo in automobilistica coda perché tutto il cuore della città è off-limits lo dobbiamo a lui. Ma anche quando passeggiamo gongolando (di rado) per il centro in una piazza, quella del Valli, più elegante assai (e priva, diciamolo pure, della brutta fontana antecedente), lo dobbiamo sempre a lui. La sua golden age ha coinciso con l’assessorato alla città storica (il sindaco del centro, si ironizzava facile), la silver age invece con l’assessorato ai (non meglio definiti) progetti speciali. L’ultima, la dark age, ha inanellato i casi di cui sopra. Ma anche la restituzione alla comunità di Civici Musei (Rota imprinting) che, forse, meglio non si poteva.
Caratteraccio, dice chi lo conosce, umorale e schivo, ma anche uno degli uomini più intelligenti (mormora sempre chi ha avuto professionalmente a che fare con lui) alternatisi di recente sulle poltrone degli esecutivi reggiani. La rumorosa valanga che spesso l’ha travolto, senza spezzarne la resistenza, durante il complesso lavoro di restyling del centro, l’avrebbe incupito oltremodo, accentuandone l’aspetto suscettibile. Ma non è scritto sulla Costituzione che si debba rispondere sempre e comunque “presente” a noi petulanti giornalisti e ad altri scassaballe di varia umanità. Ecco, non ha nemmeno cercato piacionerie a buon mercato.
La sua indole, spesso più incline all’eremo di Camaldoli, che all’apericena di piazza S.Prospero, l’ha messo oltremodo in difficoltà al cospetto degli amministrati, in epoca di crescente richiesta di partecipazione e trasparenza dal basso nelle vicende di palazzo. Acuendone il senso di estraneità ai meccanismi dell’agone pubblico e della girandola mediatica. Che esige chiasso quotidiano e botta e risposta un tanto al braccio. Ma la declinazione quasi penitenziale vissuta a livello personale del governo della città, rende doveroso l’onore delle armi.
Suo braccio destro e vero esecutore della spadoniana “città ideale” l’architetto Massimo Magnani (anche lui oggetto spesso e volentieri di articoli non sempre lusinghieri diciamo così). Che, ahilui, “vantava” senza vantarsene un quarto di parentela con Delrio tra lo “scandalo” generale. Ma il vero e proprio mentore spirituale di Spadoni, una sorta di guru filosofico-musicale, l’uomo vitruviano sulle cui auree proporzioni far ruotare le stagioni culturali, è stato, è e sempre sarà l’eremita del Cerreto, al secolo Giovanni Lindo Ferretti. Per far continuare ad apparire il quale, lo Spadoni ha rischiato spesso mezzi sputtanamenti.
Fateci caso; come già con l’ormai ex assessore Giovanni Catellani, anche con Spadoni i frenetici adulatori di ieri, si sono trasformati in accaniti denigratori. Caratteristico del branco che accede al banchetto ad avvenuta morte della preda e dopo lo spolpamento dei predatori maggiori. Noi non fummo tra quelli; anzi, dalle pagine di un defunto giornale scrivemmo peste e corna (dietro non c’erano grembiuli o compassi massonici come sospettato da qualche demente, ma solo le paturnie più o meno legittime dello scrivente). Oggi invece che Spadoni pare sull’uscio del municipio con un biglietto di solo andata, donchisciottescamente ci esponiamo con ‘sto (peraltro inutile) necro-elogio. Pare, si diceva. Che qualcuno dice che stia studiando da operatore culturale (per due anni però non può accedere a istituzioni comunali). Non è che alla fine voglia rientrare dalla finestra dopo un relativo periodo di oblio? Non è che anche noi, inconsapevolmente come tutti, stiamo cedendo alle sempre più assordanti sirene della ruffianeria?