Firenze – Se volete andare alla radici della modernità cavallo dei due secoli scorsi, stavolta è una donna che vi accompagna. E lo fa con quel di più che una sensibilità al femminile può aggiungere al rapporto mente cuore dell’artista che interpreta l’affacciarsi di una nuova epoca.
A Palazzo Strozzi apre sabato 28 febbraio la mostra dedicata a Natalia Goncharova, pittrice, costumista, illustratrice, grafica, scenografa, decoratrice, stilista, ma anche attrice e performing artist. Dopo l’evento dell’esposizione di Marina Abramovic del 2018, ecco un’altra donna protagonista della storia dell’arte.
Ed è un vanto del direttore Arturo Galansino e della Fondazione Palazzo Strozzi aver avviato queste grandi riflessioni espositive su artiste, nel caso della Goncharova ingiustamente tenute ai margini. Basti pensare che quella che è stata allestita a Firenze in collaborazione con la Tate Modern di Londra, è solo la seconda grande mostra a lei dedicata al di fuori della Russia. Eppure un suo quadro è stato recentemente battuto all’asta di New York per 10 milioni di dollari, la somma più elevata raggiunta da un’artista donna.
Siamo un po’ più lontani, agli albori del novecento, ma i meccanismi della sfida degli innovatori prima rifiutati e poi progressivamente accolti come araldi di una nuova età dello spirito sono gli stessi. Anche Natalia andò incontro a censure e condanne. Anche lei inventò performance per intaccare il conformismo e il rifiuto del nuovo. Anche lei usò il nudo femminile (era proibito alle donne dipingerlo) per affermare il principio della creatività al di sopra di qualunque censura.
Anche lei accolse e fece propria la tradizione culturale e immaginifica del suo paese (era nata nel 1881 nella Russia centrale da una famiglia della piccola nobiltà terriera) per rileggerla con gli occhi di chi ha colto i segni del tempo nuovo.
“Una viaggiatrice nello spazio e nel tempo che cercava la forma ultima dell’arte al di là di stile o individualità, geografia o storia, dell’aspetto artistico o di quello decorativo”, l’ha definita Ilia Zdanevich che per lei e il compagno Mikhail Larionov inventò il termine “tuttismo”, corrente modernista aperta a tutte le fonti di ispirazione.
Nel percorso espositivo, allestito in modo che colori, luci, disposizione dei quadri facciano da guida ai visitatori nella scoperta di questa straordinaria artista, si coglie il senso e il risultato di queste esplorazioni che non si ponevano confini fra la traduzione pittorica dell’ispirazione individuale e l’impegno diretto nelle arti drammatiche.
Il concetto guida dei curatori unisce la biografia di Natalia e la maturazione progressive delle diverse esperienze vissute prima nella campagna russa della famiglia, poi gli studi e le prime opere a Mosca dove tramite Larionov e grandi collezionisti moscoviti entra in rapporto con quanto avveniva a Parigi, dove nasceva l’arte moderna e dove la coppia si trasferì.
Osservando l’evoluzione delle sue opere (anche nel confronto con alcuni quadri di Cézanne, Gauguin, Matisse e Picasso) si coglie l’influenza che questi grandi maestri ebbero sulla maturazione dell’artista, il cui Autoritratto con i gigli gialli del 1907 che fa da splendido logo della mostra apre la rassegna dei suoi quadri.
“Il suo mondo è la Russia più profonda – spiega Ludovica Sebregondi curatrice dell’esposizione insieme a Matthew Gale e Natalia Sidlina della Tate Modern – quella della sua campagna che sono alla base della sua pittura”. Un sostanziale allegria interiore che si legge nel volto autoritratti e che i curatori hanno appunto voluto sottolineare trasformando le sale in spazi coloratissimi. Grigie sono solo le due che propongono un confronto: con i maestri francesi e con i futuristi italiani Boccioni e Balla nel periodo modernista o raggista.
Ampio spazio è riservato anche alla sua produzione di scenografa e costumista. Natalia Goncharova è stata un membro di quella grande squadra che all’inizio del Novecento sotto la guida di Sergei Diaghilev rivoluzionò non solo la storia della danza, ma contribuì anche a diffondere il messaggio dell’arte moderna.
Un’ultima sala è riservata alle opere prodotte “dopo la Russia” quando Mikhail e Natalia, che si sposarono nel 1955 dopo un lungo rapporto che lasciava a ciascuno la sua libertà per salvaguardare il rispettivo lascito artistico, non aderirono alla rivoluzione bolscevica e vissero all’estero.
Visitando la mostra si entra dunque nella fucina dell’avanguardia dei primi anni del Novecento e si riesce a carpirne senso e motivazioni. Grazie alla sensibilità e al talento di una grande donna.