Sulla strada spirituale che dovrebbe condurmi a Betlemme in tempo utile per il 25 dicembre, incappo sempre in una specie di allergia, o intolleranza stagionale, che anno dopo anno diventa più forte. È l’insofferenza per lo scatenamento di iniziative benefiche o comunque a sfondo natalizio, che molto spesso inizia prima dell’Avvento.
Ma come? Non sarebbe questo il tempo dell’attesa? E che cosa mi rimane, da aspettare, se intorno a me e ai miei cari la pubblicità – da quella dei cosmetici a quella delle tariffe telefoniche – anticipa tutto di due mesi buoni e il Natale è quell’intervallo commerciale spalmato tra Halloween e la Settimana Bianca di Capodanno, e già finito il giorno dopo?
Al di là dei bombardamenti mediatici, ogni realtà associata in questo periodo “di Natale” reclama la sua attenzione, ha la sua cena da proporre, la sottoscrizione a premi, lo spettacolo più importante dell’anno, e l’agenda personale e familiare comincia a soffrire di claustrofobia già a metà novembre.
Dovrei forse sentirmi natalizio per osmosi, perché le vetrine traspirano Babbi paciosi, alberelli sovraccarichi e lustrini come se nevicasse? A parte il fatto che in tutto questo il Festeggiato viene allegramente messo tra parentesi, a me semmai avvilisce la forzata consapevolezza che in fondo sia già Natale e che apparentemente non esista più alcuna attesa che il mercato non possa prevenire.
La mia prima reazione (allergica, l’ho detto) sarebbe spegnere tutte le luminarie esteriori, fuggire da ogni impegno “natalizio” per dedicarmi al silenzio e alla lettura.
Però poi penso che non sia giusto chiudere l’uscio di casa e il portafoglio alle varie richieste di partecipazione, condivisione e sostegno economico che stanno bussando, nonostante l’inflazione del periodo.
Perché poi concentrare tutto adesso? Certo, è notorio: perché a Natale sono tutti più buoni, perché in busta paga ormai arrivano (non a tutti a dire il vero) un po’ di soldi in più, perché un gesto di generosità ha sempre un effetto positivo su chi lo compie e aiuta a trascorrere le feste con la coscienza in pace. Ma questa risposta non mi soddisfa: è la logica della bontà a comando.
Un primo obiettivo da darsi in famiglia, per non cedere alla fiera del sentimentalismo lezioso, è la severa selezione di enti e associazioni a cui confermare l’offerta del proprio tempo/denaro.
E poi tornare a concentrarsi sull’importanza dell’attesa, del fare le cose e dire le parole al momento giusto, preferibilmente di persona. Perché i regali che tanta gente aspetta, anche se non scrive la letterina, non sono oggetti chiusi in involucri fiammeggianti, ma presenze, sorrisi naturali, azioni di vero interessamento.