Nardella a Minniti: “No alla legittimazione delle occupazioni abusive”

Firenze – Lo ha detto ai Tg della Rai, lo ha rilasciato alle pagine del Messaggero. A Dario Nardella, sindaco di Firenze, la posizione del ministro Minniti, vale a dire quella di non procedere ad altri sgomberi se prima non si trova una soluzione per coloro che se ne stanno nelle occupazioni, proprio non piace. Neanche un po’. Forse perché. suggerisce qualcuno, al di là della questione di principio, la decisione ministeriale sarebbe una vera e propria mazzata per quanto riguarda una delicatissima questione cittadina, vale a dire i somali, rifugiati, che si trovano in vai Silvio Spaventa, in un immobile dei Gesuiti, e che chiedono da tempo una soluzione in linea con il loro status, legale, legalissimo, di rifugiati. Ma la questione. se si ottemperasse alla linea Minniti, prenderebbe un sacco di tempo, e in un certo senso “legittimerebbe” proprio gli occupanti.

Tornando alle argomentazioni del primo cittadino di Firenze, seguito a ruota e con piena codivisione da Sara Funaro, assessore al sociale, se si concedesse agli occupanti senza titolo, neri o bianchi che siano, di utilizzare la loro posizione per ottenere casa e magari anche lavoro, avremmo le fila di gente che si reca ad occupare. In ciò il sindaco fiorentino e la rappresentante di giunta si ritrovano perfettamente allineati al capogruppo di Forza Italia Jacopo Cellai, che scandalizzato dall’atteggiamento di Minnitti, tuona fuoco e fiamme.

Del resto, è lo stesso sindaco che precisa che la sua contrarietà nasce dal fatto che la linea del ministro rischia di ingenerare confusione, nel senso che il vero problema riguarda  “l’automatismo” dell’alloggio garantito, per tutti senza distinzioni. E’ necessario distinguere insomma fra chi ha diritti e chi no. Insomma, prima si lavori con i sindaci e poi si proceda.

La questione tuttavia, vista da un altro punto di vista, offre profili diversi. Intanto, cominciando proprio dal principio, vale a dire dal contrasto legalità-illegalità ci si accorge che il discrimine non è poi così netto. Se si cominciasse davvero a volere rispettare il principio di legalità, dice Tommaso Grassi di Firenze riparte a sinistra, “ci si chieda se e come vengono esercitati i controlli ad esempio sugli appalti e i progetti, i servizi che sulla carta vengono forniti, in ossequio al diritto internazionale, ai rifugiati o richiedenti asilo Sulla questione generale, il sindaco Nardella si conferma come lo “sgomberatore”. Un atteggiamento che non guarda in faccia al problema: sgomberare senza alternativa non significa far scomparire le persone. La gente non scompare, quando li sgomberi, semplicemente significa che ci si gira dall’altra parte”. E qesto, detto per inciso, riguarda sia gli aventi diritto sia quelli no. Tuttavia, è chiaro che l’occupazione abusiva non può diventare “titolo” per avere un alloggio magari in barba a chi è in lista di attesa.

Insomma, di fatto il rispetto della legalità inizia proprio dal controllo che ciò che viene assegnato, secondo la legge,  ai rifugiati e ai richiedenti asilo sia concreto e non solo sulla carta. Fra le testimonianze raccolte, una particolarmente significativa proviene proprio dall’occupazione di via Spaventa, vale a dire la storia di un ragazzo somalo che venne accolto in uno dei famosi “programmi”. Accadde che sia lui che un’altra decina di rifugiati si trovarono a essere ammessi a un corso per imparare a guidare un’escavatore.  Ma, ricorda il protagonista dell’avventura, “nessuno di noi aveva patente neppure per il motorino, e una buona metà conosceva solo poche parole di italiano”. Un corso inutile, dove però i soldi pubblici furono egualmente spesi. E la domanda che sorge non può essere che spontanea: dal momento che la legalità è fatta anche di controlli, chi controlla, o meglio, sono mai stati eseguiti controlli da parte della Prefettura, centro principale di coordinamento, o del Comune, o delle istituzioni che se ne occupano, su cooperative, enti, associazioni che sulla carta forniscono servizi legalmente dovuti? Questi servizi si traducono in realtà? “A partire dai famosi 35 euro, per finire con i corsi di lingua, cultura generale, professionalizzazione, inclusione ecc – conclude Grassi – chi controlla, e quanto, che i servizi siano funzionali a ciò che si spende?” . Dopodiché, par di capire, torniamo pure alla questione di principio.

 

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