Firenze – In occasione del bicentenario della morte di Napoleone affrontiamo alcuni quesiti attorno alla sua figura del grande condottiero con l’aiuto di Sergio Valzania che è stato direttore dei programmi radiofonici della Rai , vicedirettore di Radio Rai e che ha trattato l’epopea napoleonica in numerosi libri tra i quali il recentissimo Napoleone e la Guardia imperiale. La storia delle truppe che permisero al generale di costruire un impero e Napoleone di cui Sellerio ha pubblicato quest’anno una nuova edizione (gli altri libri su tale argomento sono citati in calce a questa intervista.
Hai scritto un libro su “ L’arte del comando”.. in cosa eccelleva particolarmente Napoleone?
Napoleone aveva due caratteristiche che ne facevano un grande generale. La prima consisteva nel sapersi far amare e rispettare dai soldati, più ancora che dagli ufficiali. Si diceva che la sua presenza sul campo di battaglia valesse alcune decine di migliaia di uomini. Era attento a curare ogni dettaglio della comunicazione rivolta alle truppe, a cominciare dai vestiti che indossava, la sua mise semplice e riconoscibilissima, con la redingote grigia e in cappello a lucerna, che viene chiamata da petit caporale, piccolo caporale, soprannome affettuoso che gli avevano dato i soldati durante la campagna d’Italia. Prima di passare in rassegna un reparto studiava il suo libretto d’organico, individuando i veterani con i quali si intratteneva e ai quali poteva dare improvvise promozioni. La decorazione della Legion d’onore che aveva sul petto non era cucita, ma fissata con una spilla, nel caso non rarissimo che la dovesse staccare per appuntarla sulla giubba di qualcuno che aveva compiuto un gesto da valoroso davanti a lui.
Come tecnico, Napoleone dimostrava una grande capacità di comprendere le situazioni, di rendersi conto di cosa stava accadendo durante la battaglia. Ancora oggi, con le tecnologie di comunicazione più moderne, per i comandi è difficile capire che cosa sta accadendo in prima linea, all’inizio dell’Ottocento per ricevere notizie e mandare ordini in campi di battaglia, avvolti dal fumo prodotto dalla polvere nera e a volte estesi per diversi chilometri, esistevano solo cannocchiali e aiutanti di campo a cavallo che portavano ordini scritti a mano. Nella confusione generale Napoleone sapeva rendersi conto di cosa stava succedendo, dosare i rinforzi e cogliere il punto giusto e il momento opportuno per lanciare l’attacco decisivo, che sfondava il fronte avversario e metteva in rotta il nemico. Di questa qualità si accorsero i suoi avversari che cominciarono a evitarlo e ad attaccare i reparti distaccati comandati dai suoi marescialli. A Waterloo fu sconfitto dalla tenuta difensiva delle truppe di Wellington.
Quali i suoi più gravi errori ?
Gli errori di un militare, che alla fine si rifugiava nella guerra come soluzione di ogni problema, dato che era l’ambito nel quale si sentiva più sicuro. Diplomatico incerto non seppe sviluppare una strategia politica efficace. Preso tra il desiderio di costruire un assetto continentale nuovo e quello di essere accolto nel novero dei regnanti europei, finì per non conseguire nessuno dei due risultati, che forse avrebbe potuto cogliere se avesse concentrato ogni sforzo su uno solo di essi.
A questo si aggiunge una tendenza eccessiva all’accentramento, alla pretesa di decidere e controllare tutto, conseguenza nefasta della consapevolezza dei grandi mezzi intellettuali di cui era consapevole di disporre. Il fallimento in Russia fu anche il collasso del sistema di comando centralizzato che pretendeva di impiegare. Inoltre gli mancò la comprensione delle dimensioni dell’inferiorità strategica nella quale si venne a trovare dopo la campagna di Russia: continuò a cercare fino al disastro definitivo la soluzione militare di una situazione compromessa in maniera irrecuperabile.
Avrebbe potuto evitare la sconfitta finale e la perdita del potere? Come?
Poni il grande problema della storia: quanto le singole personalità siano capaci di modificare il corso degli eventi. Certo, con un po’ di accortezza, Napoleone avrebbe potuto ritagliarsi uno spazio di sopravvivenza politica maggiore e più gradevole dell’esilio a Sant’Elena. C’è però da domandarsi quale fosse il suo vero obiettivo, a cosa mirasse soprattutto. Sappiamo che fra le sue ambizioni maggiori c’era quella di passare alla storia come un grandissimo generale e mitico comandante, del livello dei grandi della storia, Alessandro, Cesare, Carlo Magno. Da questo punto di vista bisogna dire che ha conseguito un successo assoluto: è stato ammesso con tutti gli onori nel pantheon dei conquistatori. La fuga dall’Elba e la vicenda dei cento giorni diventano comprensibili, direi necessari, se considerati passaggi utili in questa ricerca. Per contro è innegabile che una gestione diplomatica più accorta, unita alla consapevolezza dell’inferiorità strategica nella quale si trovava dopo il compattamento di Inghilterra, Russia, Austria, Svezia e Prussia avrebbe potuto portare all’ottenimento di condizioni accettabili di permanenza sul trono di Francia. Gli alleati lo temevano militarmente e non avevano un particolare interesse a riportare i Borboni e Luigi XVIII al potere a Parigi.
Tra i libri di Sergio Valzania che parlano di Napoleone citiamo in particolare
Austerlitz. La più grande vittoria di Napoleone, Mondadori, 2005, Napoleone, RAI-ERI, 2001. Nuova edizione Sellerio, 2021, I Dieci Errori di Napoleone. Sconfitte, cadute e illusioni dell’uomo che voleva cambiare la storia, , Mondadori, 2012, Cento giorni da imperatore. L’ultima vittoria di Napoleone, Mondadori, 2105, L’arte del comando. Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone, Newton Compton, 2015 Napoleone e la Guardia imperiale. La storia delle truppe che permisero al generale di costruire un impero Mondadori, 2021
Nella foto l’incisione originale conservata presso l’Istituto francese di Firenze