Firenze – Così come per gli allenatori con le squadre di calcio, quel che conta tra direttore e orchestra è il feeling che si riesce a stabilire reciprocamente e non c’è dubbio che il rapporto tra Daniele Gatti e l’Orchestra del Maggio Fiorentino, sia , di questi tempi , improntato ai migliori auspici. I bene informati dicono che il direttore, già fornito di un’importante esperienza artistica acquisita nei teatri di tutto il mondo e forte di una reputazione che lo colloca tra i direttori più autorevoli del momento, potrebbe rappresentare un’alternativa al Maestro Zubin Mehta, un naturale ricambio, ora che il nuovo teatro richiede una presenza più costante. Tempo al tempo.
È però un fatto che il concerto tenutosi ieri sera (4 luglio) al nuovo Teatro dell’Opera sia stato di quelli da segnarsi sul calendario. Programma di rara eleganza; nel primo tempo Brahms. Non un Brahms magniloquente, da grande orchestra, ma il compositore che scrive per le Società corali cittadine, come in questo Canto delle Parche (Gesang der Parzen) nel quale affronta (come nel precedente Schicksalslied) il tema del destino. Ne è soggetto principale il coro, l’interprete del dolente inno alla caducità umana pronunciato da Ifigenia.
Il Coro del Maggio Musicale attraversa un periodo di forma smagliante, fortificato dall’ acustica del nuovo teatro che fa veramente la differenza rispetto a Corso Italia, (anche se ci dispiace tanto per le dismissioni del nostro caro vecchio teatro). Gatti non ha lesinato affondi dinamici, scegliendo le tinte forti, l’affresco vivido , d’impatto, più che assecondare l’intimismo dolente del testo. Impeccabile e di rarefatta bellezza , invece, a nostro avviso, il Brahms delle Variazioni su un tema di Haydn, per orchestra. Un tema semplice e allo stesso tempo nobile, nel quale il genere della variazione è sublimato nel continuo divenire della musica che impegna, come un incessante lavoro in filigrana, tutti i settori dell’orchestra.
Le singole sezioni hanno dato davvero il meglio di sé : dagli archi che suonavano intonati e compatti “come un solo uomo”, ai legni , puliti e tersi, citando, per inciso, la mirabolante cascatina di notine dell’ottavinista Nicola Mazzanti. Corale e contrappunto ma con tanto sentimento, che è la cifra caratteristica di Johannes Brahms. Anche la seconda parte del concerto, più virata verso il Novecento, scopriva due gemme del repertorio: una scelta antologica di Lieder di carattere militare di Mahler e Drei Stücke für Orchester op.6 di Alban Berg. Diversa la musica, uguale la lucidità interpretativa.
Il gesto elegante di Daniele Gatti, nelle Variazioni morbido e levigato, diviene una specie di danza, è il corpo intero che decifra e comunica gli scarti ritmici, le cesure semantiche di una musica che è tutto, fuori che misura e compostezza. Bella e di toccante espressività la voce del baritono Vito Priante, chiamato a interpretare i quattro Lieder (Lied des Verfolgten im Turm, Wo die schonen trompeten blasen, Revelge, Der tamboursg’sell), fino al finale con gli Studi per orchestra di Berg, datati 1913, che con la loro ermetica compattezza, sembrano a noi posteri, dopo cent’anni, una nuvola nera, condensato di dolorosi presagi, del Secolo breve.