Firenze – Un gruppo selezionato di relatori, un pubblico desideroso di capire e vivace nelle riflessioni finali. Successo indiscusso ieri, nella sede di Fabbrica Europa alle Cascine a Firenze, per l’iniziativa “Di nuovo Primavera: Futuri possibili per il Maggio Musicale e la musica a Firenze”, che ha visto i contributi di Marco Parri, Direttore generale della Fondazione dell’Orchestra della Toscana, Maurizio Busia, direttore musica Festival Fabbrica Europa e Toscana Produzione Musica, Sara Nocentini, gà assessore alla cultura della Regione Toscana e presidente di Tempo Reale, l’ex assessore del Comune di Firenze Cecilia Del Re. A condurre, oltre a Silvia Giordano (Metropolit e Opera Futura) che con dati e slide propri ha accompagnato il pubblico nei percorsi di altri paesi europei riguardo all’evoluzione del concetto di Teatro Lirico, Carlo Benedetti, dell’associazione-laboratorio di trasformazione urbana Metropolit, che ha organizzato l’incontro, e direttore del Teatro Garibaldi di Figline Valdarno.
Il tema sul tavolo era ed è particolarmente caldo, viste le vicende del Maggio Musicale reduce dall’ultimo “imperatore”, il già sovrintendente Alexander Pereira, ma, a parte la cronaca, il reale senso che gli organizzatori hanno dato all’incontro è stato quello di una riflessione a più voci sull’evoluzione del concetto stesso di Teatro Lirico come luogo di musica colta, di per sè escludente rispetto a un pubblico meno preparato. Un tratto che emerge nella contemporanità, mentre non era così ad esempio per tutto l”800 e buona parte del primo ‘900, ma anche nell’immediato dopoguerra, dove i cantanti lirici erano vere e proprie celebrità popolari e icone di stile, basti pensare alla Callas, forse l’ultima reale “diva” del mondo della lirica. Dunque, cosa si è perso e come riguardagnare in questa liquida contemporaneità il fascino e l’impatto della “musica colta” presso masse ad oggi estranee?
“Il titolo è significativo, l’idea che lo muove è semplice – dice Carlo Benedetti – parte dalla crisi del Maggio musicale, che è evidente, e non da ora. Si tratta di un dolore profondo, condiviso dai lavoratori del Maggio, che purtroppo quasi ciclicamente si trovano a dover temere per il proprio posto lavorativo. Il piccolo contributo che vorremmo iniziare a mettere in campo è far partire una discussione un po’ diversa. Oltre alla crisi del Maggio, crediamo che se non c’è una visione del futuro del Maggio, un punto d’arrivo, e dunque una riflessione su tutta la filiera della cultura musicale a Firenze di cui il Maggio fa parte, è anche difficle immaginare quali strade siano possibili per uscire dalla crisi”.
Spetta a Silvia Giordano invece portare i presenti in un viaggio europeo che risponda in qualche modo all’interrogativo: che cos’è un Teatro d’Opera nel 2023 e cosa potrebbe essere. Concentrando l’intervento sulla ricerca compiuta da Opera Futura sulla questione dell’evoluzione del concetto stesso di Teatro d’Opera, il profilo prescelto è quello della funzione sociale e culturale degli spazi. “La nostra rfilessione parte dalla concezione del teatro lirico da “opera house”, ovvero casa dell’opera, che contiene lo stereotipo del teatro lirico, chiuso, frequentato da un ‘elite, con difficoltà per propria natura rispetto al cambiamento, alla concezione di piazza dell’opera, ma forse “opera” è riduttivo, ci si può allargare a “musica” e anche oltre”.
Ad aiutarci in questo passaggio, è lo spazio da cui si parte, che è una Fondazione lirica unica in Italia, ovvero l’unica ad avere una struttura moderna, il che significa che al suo interno si trovano, oltre alle sale teatrali dedicate a opera e concertistica, altri spazi che possono avere altre destinazioni. Quali? “Ecco due esempi – prosegue Giordano – quella dell’Opera di Oslo, molto conosciuta, in cui il turista incontra il claim utilizzato dalla struttura che è “per favore camminate sul tetto”. Il secondo esempio, quello di Helsinki, anch’esso famoso, non riguarda un teatro ma una biblioteca, frutto, a differenza di Oslo, di un percorso partecipato. Disponibili al pubblico, volute dagli utenti tramite il percorso di partecipazione, sale di registrazione, stampanti 3d, macchine da cucire. L’idea di fondo, realizzare un polo multifunzionale che la comunità possa frequentare senza necessariamente consultare i libri. Un’altra suggestione per la riflessione odierna, la realizzazione di un luogo che connetta la pratica artistica a ciò che succede nella società, uno spazio che forma e si forma”.
Gli interventi dei relatori cominciano con Sara Nocentini, direttore di Tempo Reale. “E’ forse la prima volta che ci sediamo e ci diciamo che Firenze ha un problema – è l’incipit – un problema complesso, che nessuno pensa di risolvere frettolosamente. Sapere che nel cuore di Firenze c’è un centro culturale artistico di questo rilievo in difficoltà è un problema per tutta la città. Passando al capitolo buone pratiche ed esperienze da portare alla discussione, è necessaria credo una riflessione di Firenze su qual è la destinazione verso cui tendere, per capire se i passi che s stanno compiendo siano adeguati o no. Per quanto riguarda l’esperienza di Tempo Reale, porto alcuni flash non per indicare esempi da seguire, ma per riuscire a porre alcune riflessioni per, ad esempio, costruire una politica culturale per Firenze. Una di queste bune pratiche, è la collaborazione intensificatasi negli anni per poi interrompersi dopo il 2019, fra Tempo Reale e il Maggio Musicale. Una grandissima occasione di incontro, scambio, confronto fra pubblici diversi, di co-produzioni che hanno portato ad avvicinare due luoghi che nell’immaginario comune non sono imediatamente accostabili, preservando una cura dei rapporti che ha raggiunto un frutto duraturo nel 2014 con il Maggio Elettrico. Collaborare e coltivare i rapporti sul territorio ha arricchito la qualità dell’offerta che tutti siamo in grado di portare alla città”. Un altro canale di esperienza positiva è senz’altro quella di Secret Florence, sottolinea Nocentini che si chiede e chiede: “È già una politica culturale?”. “Ci sono molti elementi all’interno di Firenze – conclude Nocentini – conseguenza proprio dell’alta professionalità esistente, che dovrebbero essere riconosciuti e aiutati anche nell’alto contributo di originalità che consegnano alla città”.
Da parte di Maurizio Busìa, si sottolinea la grande ampiezza dell’offerta musciale anche rispetto alle dimensioni cittadine, che rischia di non trovare spazi o sovrapporsi. “La riflessione obbligata sul Maggio ci porta anche a considerae cosa sarà di noi e di Firenze fra dieci anni, qual è la Firenze che troveremo e come questi progetti potranno evolversi. L’ansia è la percezione che tutto possa sempre fermarsi o si trovi legato ad un filo fragile. La riflessione che possiamo iniziare insieme è quella di cominciare a pensare a come utilizzare gli stessi luoghi e i costi sempre più insostenibili in una città che sta subendo degli aumenti sempre più evidenti anche per quanto riguarda le stanze, cercando di immaginare fra qualche anno una città che possa essere sostenibile, e a comunicarsi con una città ad effetto plurale”.
Marco Parri mette l’accento sul fatto che Firenze è una città in cui non manca nulla, a livello di offerta musicale e di livello qualitativo, ma “abbiamo un deficit importante a livello di mancanza di visione, di un’indicazione anche da quelli che sono i nostri maggiori sostenitori, vale a dire i sostenitori pubblici. In una città dove ha sede il Maggio musicale Fiorentino , l’Orchestra della Toscana (l’Ort è la prima orchestra finanziata dal governo, il Maggio è al terzo posto dopo la Scala e il Teatro dell’Opera di Roma), non può non esserci da parte di chi governa il territorio, non si può non avere un indirizzo. Si tratta di una situazione che forse può essere affrontata con una diversa consapevolezza, cercando di riorientare anche noi operatori i nostri obiettivi. In prima battuta è necessario cercare di collaborare, cosa non facile”. I tempi, sembra di capire, sono tali che nessuno può più permettersi il lusso di stare chiuso nel proprio orticello.
“La collaborazione è necessaria non solo perché aiuta a crescere tutti quanti, ma anche perché la crisi del Maggio non fa bene all’Ort, non fa bene a Tempo Reale, non fa bene agli Amici della Musica, non fa bene a nessuno perché proietta un’immagine estremamente negativa. Abbiamo invece bisogno di un’immagine estremamente positiva per portare a teatro tutto quel potenziale pubblico che ne sta fuori”. Serve dunque una progettazione un po’ più coordinata e nuove idee, tanto più che le fondazioni liriche, dal 2020 al 2023, non devono fare consuntivi. “Una programmazione assennata forse avrebbe consentito di non essere in queste condizioni il Teatro del Maggio, come hanno fatto molte altre fondazioni. Dobbiamo avere la forza di fare proposte alternative”.
L’intervento di Cecilia Del Re riguarda la natura fortemente ancorata alla città del Teatro fiorentino. “Se si ha consapevolezza di una visione del Teatro dell’Opera, comprendiamo di conseguenza anche la visione di città che abbiamo davanti”. Una riflessione che riguarda anche il tema della sostenibilità economica. “La costruzione del nuovo Parco, basandosi anche sull’esperienza di Roma, venne pensato perché Mehta ambiva ad un nuovo teatro ritenendo quello precedente non più adeguato e pensò al Teatro dell’Opera alle Cascine all’interno di un sistema unico che avrebbe dovuto avere uan gestione unica con la Stazione Leopolda – ricorda Del Re – i fatti sono andati diversamente, la Stazione Leopolda è stata acquistata da Pitti, ed ecco la rottura di quell’asse immaginato. Per quanto riguarda alle ipotesi di sostenibilità del Teatro dell’Opera, si è pensato a modelli che da una parte si rifacevano al congressuale, dall’altra all’aumento dei turisti presso il Teatro dell’Opera, sempre quindi basandosi su modelli e piani economici che guardano alla città Firenze sul piano turistico o turistico congressuale. Una sinergia fra tutti gli enti invece, compiendosi fra le varie realtà culturali partendo dalle orchestre, perrmetterebbero una valorizzazione delle competenze oltre a una maggiore fruizione di questo spazio, il Parco della Musica, nato con il proposito di una vocazione di apertura alla città”.
“In questi anni – continua Del Re – come assessore allo sviluppo economico, ho potuto vivere più da vicino l’epoca Chiarot, vale a dire l’epoca di grande apertura del Teatro alla città, con una politica culturale che riguardava l’accesso al teatro tramite una politica dei biglietti e le svariate convenzioni, allo scopo di portare dentro il teatro anche persone che un’opera non l’avevano mai vista. Un messaggio bellissimo, nell’ottica di arrivare a qualsiasi singolo cittadino dai bambini agli anziani, a qualsiasi fascia di età educazione formazione. In quest’ottica, lavorando per sostenere un altro settore in crisi, quello delle edicole, pensai di utilizzarle anche come luogo di vendita dei biglietti del Maggio Musicale. Con Chiarot si aprì a questa sperimentazione che oltre al valore economico aveva anche un valore molto simbolico, portare il Maggio alla diffusione capillare sul territorio. Una buona pratica, che si sposa con altre che mettemmo in atto, come le convenzioni mai sperimentate prima nel settore turistico per la vendita dei biglietti del Maggio presso le reception degli alberghi. Un’iniziativa che ebbe a sua volta grande successo, anche perché esiste un pubblico straniero abituato alla possibilitòà di recarsi in altri Paesi al Teatro dell’opera e a godersi spettacoli musicali”. Anche Del Re denuncia la sensazione di una mancanza di collaborazione, ma anche le difficoltà, derivate dalle ben note criticità del mercato fiorentino, circa le residenze d’artista, “mentre diventa fondamentale anche per gli operatori del territorio condividere questa rete oltre ovviamente alla promozione di una programmazione e di una specializzazione che poi andrebbe a vantaggio di tutta la città”.
Parlando di visione, come si costruisce una piazza, ovvero un campo di connessione? E’ Silvia Giordano a presentare la “ricetta” della costruzione: Co-creazione culturale; ingresso di realtà culturali locali; favorire l’engagement delle persone; incentivare la collaborazione fra attori culturali (esempio LAC). Fra vari esempi europei, la domanda che emerge è: parlare di inclusione può essere una visione percorribile? Un domanda che resta aperta, nonostantele varie risposte dei relatori. La domanda su cui , con ogni probabilità, si gioca il futuro della “piazza”, o in qualsiasi altro modo si voglia chiamarla, della musica a Firenze.