Musei e relazioni internazionali, la cultura è diplomazia

Riflessioni sul ruolo politico delle istituzioni culturali a livello mondiale

Un libro, a cura della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, si inserisce nel tema, sempre più importante, del ruolo che assumono i musei nell’ambito delle relazioni internazionali. La pubblicazione nasce anche sulla scorta della Convegno tenutosi a Firenze, nel settembre 2023 , promosso dalla Fondazione, che aveva al centro del dibattito il ruolo dei musei nell’ambito della cosiddetta diplomazia culturale, che ha proprio in queste istituzioni uno dei mezzi più incisivi di azione.

Il percorso cui il libro, per mano delle due autrici Serena Giusti e Camilla Pagani (la prima docente di Relazioni Internazionali presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e senior Associate Research Fellow presso l’Istituto di Studi di Politica Internazionale di Milano, la seconda docente a contratto di teoria politica e sicurezza internazionale alla Paris School of International Affairs di Sciences Po Parigi e Academic Fellow all’Università Bocconi di Milano) dà vita, parte dalla nascita ed evoluzione del concetto di Museo. Un’evoluzione che vede trasformarsi nei secoli non solo la finalità di raccolta di opere artistiche a beneficio di un soggetto pubblico (l’Ashmolean Museum, il primo museo europeo, nasce dal dono di Elias Ashmole all’Università di Oxford nel 1683) magari di una città (1737, l’ultima granduchessa di Toscana Anna Maria de’ Medici dona la Galleria degli Uffizi alla Città di Firenze), ma si muta in conferma e stabilizzazione di una identità nazionale (in particolare i musei ottocenteschi) per diventare, col trascorrere del tempo e della storia, un vero e proprio ingranaggio di contemporaneità, dove l’esposizione museale e le scelte artistiche sono veicolo dei cambiamenti sociali e delle frizioni dei tempi nuovi. Così, i musei scandiscono le lotte per i diritti delle minoranze, quelle economico-sociali dei lavoratori, le nuove questioni dell’immigrazione e della repressione in campo internazionale e interno. Insomma niente di più lontano da quel concetto di museo “cimitero” contro cui si scagliava Marinetti animato da furia iconoclasta futurista.

Un mutamento rapido che non manca di intaccare anche la stessa architettura museale, che diventa sempre più, in ossequio al concetto del museo macchina viva e pulsante medium della contemporaneità, spazio di iniziative altre, da biblioteca a punto di svolgimento di convegni e incontri, fino all’attenzione sempre più viva da parte della politica, una volta colta la carica profondamente attiva della cultura che in quei luoghi si dispiega e della capacità di entrare nel gioco delle mutazioni sociali influenzandole e venendone influenzata. Carica evidente anche dal fatto che la figura apicale del Museo diventa sempre più sensibile all’influenza della politica.

Tale profonda mutazione tuttavia non si limita, come si legge nei vari capitoli che sviscerano il ruolo dei musei nell’ambito delle relazioni internazionali, all’influenza interna agli Stati. anzi, proprio per la natura stessa della cultura intrinsecamente intollerante di confini da un lato, dall’altro per la questione mai risolta del tutto del ritorno di opere nelle nazioni da cui sono state prelevate nell’ambito di una prevaricazione violenta dovuta in gran parte alle guerre e al colonialismo, dall’altro ancora dalle politiche di diffusione perseguite da molti Paesi europei che fanno nascere figli analoghi al museo madre su suoli diversi da quelli di nascita (il Louvre di Abu Dhabi, le Centre Pompidou a Malaga, Bruxelles e, nel 2019, Shangai…) i musei diventano davvero snodi di interessi, politiche, commistioni internazionali.

Tanto da essere salutati come soggetti internazionali fra i più importanti, nella logica dei soft power, per ripristinare relazioni, sanare conflitti, creare quell’humus di rapporti che facilitano, o dovrebbero facilitare, il raggiungimento della pace. Non senza motivo infatti il primo passo dei gruppi più fanaticamente votati alla distruzione dell’avversario è distruggerne i patrimoni culturali, come hanno dimostrato la relativamente recente devastazione di Palmira da parte delle bande dell’Isis, con contemporanea eliminazione fisica del Direttore che aveva tentato di opporsi allo scempio, o la distruzione da parte dei talebani delle due grandi statue dei Budda di Bamiyan, in Afghanistan, risalenti al VI secolo. Un danno incalcolabile all’intera cultura mondiale.

Esempi tutto sommato recenti, che tuttavia sottolineano un principio che accompagna i musei sin dal loro nascere, ovvero la funzione politica e sociale della cultura, esaltata dal rendere immediata l’accessibilità al pubblico. Esemplare in questo senso il decreto del 1793 della Repubblica giacobina che, sulla forza motrice della Rivoluzione Francese, istituisce il Louvre nell’ambito del principio di laicizzazione della cultura, contro i poteri monarchici e religiosi, ponendo alle basi del maggiore museo francese gli ideali dell’Illuminismo e della Rivoluzione.

Nello scorrere esempi storici, si può dire che buona parte delle consapevolezze nazionali ottocentesche si basa sul recupero delle proprie testimonianze culturali. Anche qui, percorso più complesso per l’Italia, che nel grande numero delle proprie presenze storico-artistiche, non opera, all’indomani della raggiunta unità nazionale, quel percorso pur necessario di stabilizzazione culturale dell’identità del Paese, limitandosi a cambiare semplicemente con l’aggiunta di “nazionale” i nomi delle istituzioni museali già presenti. Gettando le basi, si può dire, per una “disunità culturale” di cui si sono pagati (e si continuano a pagare) conti feroci.

La funzione e il peso internazionale delle istituzioni museali, come il loro arricchimento in complessità di funzioni, si esplica nella contemporaneità attraverso vari canali, dai prestiti, all’attecchimento di istituzioni sorelle nei vari paesi a livello mondiale, ma anche nelle attività specifiche di rapporti fra istituzioni culturali e quindi fra paesi. Il centro della riflessione dunque, come spiegano Giusti e Pagani, nell’introduzione, è il “ruolo politico del museo”, inserendolo “nel contesto delle relazioni internazionali tenendo in considerazione come l’entità museale sia mutata e si ponga all’intersezione tra locale, nazionale ed internazionale, influenzandole simultaneamente e connettendo pubblici molto diversificati”.

Il ruolo e il significato del museo sullo scenario internazionale è un tema ad ora poco frequentato dagli analisti, che si inserisce nei filoni di studio attinenti alla diplomazia culturale (definizione d’altro canto sfuggente, come segnalano le autrici nel primo capitolo) e all’approfondimento delle varie fattispecie di potere ricomprese fra l’hard e il soft power. Tirando le fila, il saggio, che contiene una collezione di riflessioni scaturite in parte dalla Conferenza fiorentina, si presenta come una sorta di riflessione a più livelli, preliminare agli ulteriori studi che si rendono necessari per investigare e mettere in chiaro la funzione, la natura e il ruolo dei musei con analisi comparate tra i diversi Paesi , tenendo presente che le funzioni attribuite via via a queste istituzioni culturali le rendono inevitabilmente e per propria natura, “entità politiche, civiche, nazionali ed internazionali”.

Un tema dunque di grande attualità, come sottolinea il presidente della Fondazione Valdo Spini, “perché in un momento in cui il mondo è percorso da conflitti e tensioni, la cultura rappresenta comunque un veicolo di comunicazione per l’oggi e un pinte per un domani, in cui si riaffermi nelle relazioni internazionali il multilateralismo e quindi la ricerca di una soluzione pacifica per i conflitti in atto”.

Serena Giusti e Camilla Pagani, “Musei e Relazioni Internazionali”, 2023, Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, Pacini editore, collana Storia.

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