Bene, ministro Franceshini. I provvedimenti sulle nuove tariffe dei musei statali vanno nella direzione giusta. Sanano una situazione che non aveva alcuna giustificazione. Contribuiscono ad ampliare la platea del pubblico in un paese dove 6 cittadini su 10, oltre i 18 anni, non sono mai entrati in un museo. Riconoscono finalmente il ruolo degli insegnanti. Vediamoli in sintesi.
Dal primo luglio gli ultrasessantacinquenni non entreranno più gratuitamente. Un privilegio generalizzato che non aveva alcun senso perché non più collegato a reali differenze di reddito e che si traduceva una pesante perdita per le casse dello stato. Un terzo dei visitatori entrava così senza pagare. Accesso libero, invece, per i minori di 18 anni e con forme di sconto per quelli da 18 a 25. Le misure tariffarie non sono di per sé sufficienti (lo dimostra il caso francese) ad avvicinare i giovani a un’istituzione percepita lontana dai loro interessi, ma sono in ogni caso utili.
La prima domenica del mese l’ accesso sarà gratuito per tutti e due volte l’anno, nella notte dei musei, a un euro. L’apertura gratuita ribadisce nel concreto che l’eredità culturale è inalienabile ed è un bene comune. Il venerdì i musei statali saranno aperti fino alle 22. Un orario che li avvicina più alla missione di un luogo di cultura che a quella di un ufficio. Accesso gratuito, infine, per gli insegnanti.
Si riconosce finalmente che il museo fa parte della cassetta degli attrezzi professionali dell’insegnante. In questo la Regione Toscana ha fatto da battistrada. La Edumuseicard consente da anni agli insegnanti di tutta Italia di accedere senza pagare il biglietto in alcune centinaia di musei della regione. Nel complesso si tratta,quindi, di un provvedimento positivo che contribuisce ad aprire i musei alla società. Il quadro darebbe una svolta significativa all’intero sistema se fosse accompagnato da altre decisioni: l’autonomia dei musei, il riconoscimento pieno del ruolo del direttore e l’abbandono dell’idea di inserire un manager, figura aliena dalla pratica e dalle necessità dell’istituzione. Ci ripensi, ministro.