Spunta sabato sera ai Chiostri di San Pietro con la sua reticenza naif e una buona dose di supponenza. L’archistar Italo Rota non si fa certo intimidire da una folla un po’ avanti con l’età di incravattati, pronti a puntargli il dito contro ad ogni singola affermazione ardita.
“Se tutto ciò mi interessa, dopo sarà diverso” basterebbe riflettere su questa semplice frase, pronunciata dallo stesso Rota durante la serata, per capire cosa manca a Reggio: il vero interesse e lo spirito di cambiamento. Il dibattito ha ormai una lunga storia, segnata dalle note lettere aperte scritte dai cosiddetti “intellettuali” reggiani e sottoscritta da altrettanti benemeriti intellettuali di fama nazionale, tra cui Alberto Asor Rosa e Salvatore Settis. Eppure poco importa: il celebre architetto non è venuto a Reggio per difendere i suoi “Funghi” maltrattati, bensì per ribadire che “si dovrebbe parlare solo se si conosce”. Per cui, tutti coloro che avevano sperato in una noiosissima conferenza in termini prettamente tecnici ed economici sul progetto Rota, sono rimasti a bocca asciutta. L’archistar non ha certo piegato la sua acutezza artistica nell’esporre sterili cifre su costi e misurazioni eventuali, ma ha scelto di dare omaggio alla complessità contemporanea, contribuendo a innescare il completo caos nelle menti fin troppo preordinate della maggior parte dei presenti. Non ha risparmiato proprio nulla: dalla psicanalisi freudiana, ai romanzi di Georges Perec, ai segreti dell’ambigramma, della sinestesia e del cruciverba. Tutto per arrivare a dire che la banalizzazione è tiranna e non porta certo alla crescita culturale di una comunità.
Espedienti alternativi per rispondere, in modo impeccabile e presuntuoso, alla mentalità limitata e ancora provinciale di una città che non lo vuole. L’intento appare nello stesso tempo superbo e democratico: raccontarci come siamo stati e come siamo attraverso gli oggetti che ci hanno caratterizzato nei secoli. Saranno le “stanze delle Idee” a dialogare con noi attraverso alcune collezioni stravaganti, finora abbandonate nei depositi. Dal passato tessile Deanna, all’esperienza di Reggio Children, ai violini Indios e agli oggetti delle tribù africane. Fattore sconcertante per i tradizionalisti difensori dei Civici Musei: Italo Rota sfugge a ogni schema predefinito. Il suo progetto non pretende di dettare alcuna verità e nemmeno di insegnare qualcosa, ma si propone esclusivamente di farci riflettere su prospettive insondate e sempre nuove. Ma quando le certezze franano la folla s’inquieta perché teme di perdere il terreno su cui ha dormito per secoli. Peccato, perché sarebbe proprio ora di svegliarsi e capire che “nel disordine apparente c’è sempre un ordine nascosto”.