Firenze – Si concluderà a giorni (il 15 aprile) la mostra “Mediterraneo” che Silvana Grippi, fotoreporter e responsabile dell’agenzia fiorentina Deapress e la pittrice Milena Prestia hanno dedicato al Mediterraneo. Una mostra che non è solo di “rottura” e denuncia (il leit motiv è infatti l’inquinamento che sta stritolando il nostro antico mare con tutto il suo ecosistema fisico e di popoli che lo abitano) ma è qualcosa di più, una narrazione potente che dalle immagini sale diritto al cuore ancestrale di chi guarda. L’esposizione si trova in via Cavour, al civico 7r, nei locali “Galleria Via Larga”.
Foto e quadri, come finestre aperte su quell’immenso caleidoscopio di popoli, culture, sentimenti, visioni sublimi e divine e orrendi paesaggi deturpati dalla violenza umana che costituisce il Mediterraneo. Sommesse onde calde colore del vino, o marosi di sangue umano che finiscono per affogare pietas, ragione e sentimenti: la mostra di queste due donne magistrali nella loro arte finisce per scuotere e lasciare sgomenti anche il più tranquillo e anodino degli osservatori.
La prima stanza della Galleria di Via Larga, è l’anticamera dove si sfiorano paradiso e inferno. Raccoglie un minimo sunto di vent’anni di viaggi fra Nord Africa e Medio Oriente di Silvana Grippi, una delle reporter più curiose, magistrali e indipendenti di Firenze. Vent’anni che accompagnano un Medio Oriente e un Nord Africa in continua evoluzione, dalle speranze deluse di equità sociale e pace degli anni 80 (funestati da terribili e irrisolti conflitti come quello palestinese, a cui sono dedicati alcuni scatti) fino alle orribili devastazioni sotto l’ala nera delle bande del califfato odierno. Scatti che non colgono solo la bellezza senza limiti di paesaggi, interni famigliari, volti che sembrano provenire dai racconti di Sherazade, ma che indagano anche passaggi epocali, rovine e guerre, tristezza e dolore che fanno, come sempre nel Mediterraneo, da contraltare al sublime. E così, si passa dalle donne di Kobane al misterioso sguardo di una donna velata in primo piano in un vicolo dove fugge una scalinata gialla su cui si affacciano bambini curiosi, ai murales dove un Gheddafi irreale sorride a un popolo che giace sotto i piedi di una guerra ormai fuori controllo, a un paesaggio quasi surreale dove si coglie il silenzio potente dell’Africa attorno ad un unico albero possente in mezzo a una piana essicata, alla costruzione di un sistema irriguo capace di imprigionare le poche gocce dell’acqua sempre cercata e sempre a rischio, natura o multinazionali che si voglia.
E poi, si sprofonda, nella seconda sala, nel mondo immaginifico ma ben radicato nel mar Mediterraneo di Milena Prestia.
Che sulla tela propone la trasfigurazione suggestiva di alcuni scatti di Silvana (due) e poi tramonti, albe, mari statici che “forzano” il quadrato della tela per dilagare negli occhi dello spettatore oltre a immagini che leggono nel Mediterraneo la forza della bellezza e la tristezza della decadenza. Un accorgimento particolare accoglie chi entra: di fronte alla bellezza dell’arte, ai piedi del sublime, ci sono resti di spazzatura, abbandonati sul pavimento: spazzatura reale, soprattutto plastica, quella plastica che stringe come un cappio il grande Mediterraneo.
Ben documentata la denuncia, anche l’aiuto delle immagini delle ormai tristemente famose “isole di plastica” una sorta di “iles flottantes” costituite di plastica gettata via, groviglio di bottiglie, buste, sportine, tappi, sacchetti, ecc. in cui trova la morte l’ecosistema mediterraneo.
Una mostra provocatoria e di rottura, che lascia affascinati e turbati.
La mostra è stata patrocinata da “Firenze Città metropolitana” (a firma Dario Nardella) e per la sua valenza etnografica, geografica e ambientale – è stata scelta da alcune scuole come momento didattico “Laboratori di Geografia ambientale”.
E’ stata curata dal Centro socio-culturale DEA e Unolcultura con la collaborazione degli stagisti dell’Università degli studi di Firenze.