Monticchiello: una risata contro l’angoscia dei “tempi veleniferi”

Monticchiello – E’ un vero piacere tornare ogni anno a  Monticchiello per l’appuntamento con il teatro povero.  Il piacere non proviene dalla tranquilla certezza di una tradizione che sta per compiere il mezzo secolo. E nemmeno dalla bellezza travolgente della val d’Orcia e dei suoi gioielli arroccati sulle colline. Il piacere è incontrare il teatro civile, il teatro di un popolo che dà voce alle sue inquietudini, ai suoi sogni e alle sue speranze, cogliendo ogni anno un pezzetto dello spirito del tempo.

Sono loro, sono la gente di Monticchiello, gli interpreti di quei sentimenti che ciascuno di noi tiene il più possibile nascosti, impegnati come siamo a rimpiangere i tempi del consumismo e del denaro facile. Negli ultimi anni questa lettura dei “segni del tempo” aveva assunto un carattere drammatico, di rivolta più che di scorata lamentazione, di fronte al degradarsi dei valori del vivere insieme e alla corruzione dei costumi diventata addirittura modello di comportamento esibito sulla piazza pubblica.

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Invece l’autodramma di questo 2014, che si intitola “Tempi  veleniferi” , sancisce una svolta. Certo la corruzione, l’ipocrisia, la sopraffazione, il malcostume sono sempre lì in agguato, niente o quasi è cambiato. Ma è mutato l’approccio di questi corifei ingegnosi  eredi di un mondo contadino la cui cultura fortemente legata alla terra offre tutti gli strumenti culturali e  linguistici per resistere alla decadenza e superarla con lo spirito di chi in ogni caso è in pace con se stesso e con le storture del mondo.

Lo strumento che quest’anno utilizzano i protagonisti di “Tempi veleniferi”,  dilettanti ormai  approdati a un tale  grado di  spontaneità interpretativa che ne fa dei signori professionisti del genere rappresentazione popolare,  è quello della farsa. Il teatro povero ha fatto ricorso a questa ricchissima tradizione toscana ciclicamente, quando il racconto della realtà aveva bisogno di metafore per essere trasmessa agli animi degli spettatori. E ogni volta che lo ha fatto, era il contesto che indirizzava e dava più senso ai suoi messaggi semplici e diretti.

Il messaggio della storia di Beppe, Rosa e delle loro due figlie da maritare è stato quest’anno un invito forte e convinto a non perdere il bene più prezioso che rende la vita degna di essere vissuta e cioè la serenità e l’allegria anche di fronte ad avversità che gli interessati di varia natura attribuiscono al destino, ma che sono genuino prodotto di malvagità. Di  esse proprio la risata, lo sghignazzo come direbbe Dario Fo, ne svela l’inganno e la falsità. “C’è bisogno di aria pulita per tornare a vivere – dice la giovane Maddalena – C’è bisogno di ridere e cancellare l’ansia che ci attanaglia l’anima”. Leonardo la contraddice, lui non vede alcuna aria pulita, nessuna rinascita, nessuna primavera.

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Ma il popolo di Monticchiello vuole guardare oltre l’orizzonte, rinfrancarsi  di fronte alle bellezze del paesaggio, pensare a festeggiare i 50 anni del teatro con la speranza che sia veramente il crinale che porta a una società più giusta, onesta e sincera. Senza dimenticare mai  che si vive in  tempi  che portano con  sé i veleni, come quelli per i topi che Rosa presta a Dante, di cui si approfittano tanti imbonitori, falsi e bugiardi, come quelli che irretiscono con promesse di soldi facili con il gioco d’azzardo o con le profezie truccate dei tarocchi. La scena dei  numeri del lotto, della tombola e della cartomante è sicuramente una delle più riuscite dell’autodramma.

Quest’anno il teatro povero guidato da Andrea Cresti, uno dei  pochi artisti veri che hanno dedicato la vita al genere della commedia popolare, ha trovato una nuova misura, una sintesi felice della sua lunga esperienza. Una premessa che lascia felicemente sospesi gli spettatori su come la gente di Monticchiello festeggerà il loro orgoglioso cinquantenario. 

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