Mobilità sostenibile per l’area fiorentina, con particolare riguardo alla Piana. Un tema complesso su cui il Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio dell’Università degli Studi di Firenze ha deciso di strutturare un seminario grazie al Gruppo di ricerca sulla mobilità sostenibile nell’area fiorentina. Un seminario che ha preso il via venerdì scorso, con una serie di relazioni sul tema “La costruzione del sistema dei nodi. Verso lo scenario di riferimento territoriale per la mobilità metropolitana fiorentina”.
Un tema impossibile da affrontare se non partendo da una ricognizione su ciò che è stato fatto, ciò che è in fieri, quale è lo stato attuale del panorama ambientale. Non prescindendo dal tipo di scelte politiche-culturali che hanno condizionato la gestione del territorio negli ultimi anni.
Una vera e propria fotografia introduttiva che, illustrata dal professor Giorgio Pizziolo, ha consegnato svariati elementi alla discussione.
Innanzitutto, l’oggetto dell’analisi, vale a dire un hinterland in cui risiedono circa 600mila abitanti. E che, dal punto di vista ambientale, configura un territorio completamente al di fuori delle regole.
Cosa significa? Che la matrice ambientale (alta collina, collina, pianura, fiume Arno e affluenti) è completamente snaturata e messa sottosopra da una pesantissima cintura di cemento a cui si aggiungono 2 altrettanto pesanti direttrici di scorrimento (autostrada e servizi).
La saldatura urbana, vale a dire la continuità del costruito, non fu attuata completamente fino agli anni 90, quando ancora sussistevano varchi che permettevano lo scambio fra le varie fasce territoriali. Un assetto tutto sommato ancora accettabile, che la Regione stessa cercò di salvaguardare con un tentativo fallito di regolamentazione dell’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia cui dette veste la delibera del consiglio regionale 212/90.
Un tentativo che si scontrò con la nuova espansione edilizia (Castello), peraltro già decisa all'inizio degli anni '80. Ma l' ostruzione del varco di Castello si realizzò dal '95 in poi, concretizzando così quella che si configura come una tendenza ventennale, recepita un po' da tutti i piani, un filo rosso che lega il piano del '98 al piano strutturale 2011.
Tutto ciò si tradusse con le grandi edificazioni della Piana di cui la Scuola dei Marescialli è forse uno degli esempi più evidenti per consumo di suolo e per le vicende che ne seguirono, ma non deve far dimenticare episodi come il centro di rottamazione del Ferrale, costruito in piena area agricola, o, in piena area cittadina fiorentina, l’edificazione di via Arnoldi nel parco delle Colline Fiorentine.
Insomma, un’insormontabile muraglia di cemento che, come ricordano i partecipanti al seminario, viene confermata e ribadita dall’ultimo e tutt’ora vigente piano strutturale comunale.
Un assalto al territorio cui cerca di portare un ultimo e disperato stop il nuovo Piano di indirizzo territoriale della Regione Toscana (Pit) che configura come ultima ipotesi di difesa la realizzazione del Parco Agricolo della Piana. Un Parco che, spiega Pizziolo, pur contemplando una muraglia consolidata attorno, permetterebbe la salvaguardia di qualche ancora residuale piccolo varco.
Un sistema che potrebbe ancora permettere la realizzazione di una mobilità corrispondente che potrebbe avvalersi della rete ferroviaria esistente con l’aggiunta di un sistema di mobilità leggera.
Ma come realizzare questa nuova rete di trasporto sostenibile?
Tenendo d’occhio l’esistente, risponde Pizziolo. Vale a dire, tenendo conto della presenza di quella realizzazione architettonica nel migliore dei casi “disgraziata” (impiantata su una scelta urbanistica sbagliata) che è la caserma dei carabinieri, o di quelle altre grandi “isole” avulse dal territorio che sono i caselli autostradali, attorno a cui si assiepano enormi centri commerciali, grandi cinema e altri servizi.
Senza nascondersi che tutto ciò pone in essere una geografia nuova con cui è necessario fare i conti: in primo piano autostrade, caselli, grandi impianti cui confluiscono migliaia di persone, sullo sfondo i centri storici e in mezzo chilometri di periferia “durissima”. Con due considerazioni irrinunciabili: l’alto consumo di questo tipo di metropoli da parte della gente da un lato, e dall’altro la constatazione che il tipo di mobilità di questo nuovo modello è basata sull’auto. Senza trascurare la nuova “aggiunta” dell’inceneritore in via di attuazione come epicentro di quest’area.
La proposta. Da tutto quanto esposto finora, ne consegue che la soluzione di mobilità sostenibile è costretta a pensarsi come mobilità nuova, costruita sui nuovi assetti dell’area metropolitana.
Ricostruire un sistema ambientale armonico è difficile, forse impossibile, dice Pizziolo. L’unica risposta può essere data dall’accettazione di un sistema ambientale dissonanate, vale a dire che contenga e trattenga dentro di se’ elementi di contradditorietà. Una sorta di operazione dodecafonica, non sconosciuta all’analisi teorica e artistica del secolo scorso.
Cosa potrebbe significare in concreto? Ad esempio, prendere i Gigli e circondarli di qualcosa che li renda e li accetti come dissonanti: una muraglia di verde, un bosco allungato attorno come un bastione, dune di verde che lo circondano come un cuscino. Oppure, e la provocazione è evidente e godibilissima, prendere il palazzo dei Marescialli e coprirlo di terra su cui far crescere un prato.
In buona sintesi, ciò significa cambiare gli schemi concettuali buttando all’aria buona parte di ciò che finora è stato codificato per aprire le porte alla …. Dissonanza.
Da ciò, ne consegue anche un altro elemento che può contribuire al ripensamento-reinvenzione della mobilità stessa sostenibile: il tema del verde come struttura urbana forte, concetto mutuato dai grandi urbanisti americani, diventa in concreto verde di relazione, che significa sistemi di relazione leggera (pedoni, biciclette, se serve un tram) dentro il verde lineare dove le strutture di mobilità si legano materialmente con il bosco strutturato in lunghezza.
Una possibilità, insomma, quella illustrata da Pizziolo, che renderebbe l’uomo padrone della dissonanza, invece che suddito, a patto di riuscire a mettere in discussione l’esistente. Il cambio concettuale è: da architettura per oggetti a architettura per relazione. Il che significa che fare mobilità sostenibile è il modo per aprire nuove relazioni con le cose. Nuove relazioni sempre più necessarie: il costo della mobilità tradizionale, in termini di salute, inquinamento, consumo del territorio e dispendio di energia, ormai, non possiamo più permettercelo.