Fu solo durante l’XI Legislatura, sotto la presidenza di Luciano Violante che venne approvata dalla Commissione il 21 dicembre 1993, e presentata due mesi dopo ai presidenti di Camera e Senato, Napolitano e Spadolini, la prima relazione sulle organizzazioni camorristiche redatta dalla Commissione Parlamentare Antimafia. Un documento sulla camorra scritto a più di trent’anni dalla sua istituzione (vide la luce nel 1962), perché ritenendolo un fenomeno non assimilabile a quello mafioso, sino ad allora essa non se ne era mai occupata. Tesi condivisa anche da una sentenza dell’81 emessa dal Tribunale di Napoli, anno invece del predominio dell’organizzazione camorristica di Raffaele Cutolo la Nuova Camorra Organizzata (NCO), in cui si legge che le misure di prevenzione contro la mafia non potevano essere applicate alla camorra.
Prima del ’93 non fu mai presentata in Parlamento una relazione sulle organizzazioni camorristiche,nonostante nel decennio 1981-1990 in Campania fossero stati commessi 2.621 omicidi pari al 21,6 per cento degli omicidi sull’intero territorio nazionale (12.116); si contavano 111 organizzazioni camorristiche,con oltre 6.700 affiliati, in una regione con 549 comuni e 5.731.426 abitanti. Una realtà malavitosa paragonabile ad una vera e propria holding criminale con decisive capacità di condizionamento dell’economia, delle istituzioni, della politica, della vita quotidiana dei cittadini.
La camorra, inoltre, per la sua fluidità riusciva a mantenere in Campania un controllo del territorio senza eguali rispetto anche ad altre regioni del Sud Italia caratterizzate dal fenomeno malavitoso come la Sicilia e la Calabria, senza contare i radicamenti in molte parti d’Italia in special modo a Roma.Non solo, ma diverse indagini giudiziarie e di polizia avevano accertato l’esistenza in alcuni paesi europei di vere e proprie “stazioni camorristiche”.
Nei primissimi anni ’80 a Napoli e nell’hinterland si combatté una sanguinosa guerra di camorra che fece migliaia di vittime. La Campania era divenuta una terra senza legge. La posta in gioco era allora altissima, perché l’obiettivo dei clan camorristici era il controllo dell’enorme massa di finanziamenti per la ricostruzione post terremoto dell’Irpinia del 1980. Prevalere avrebbe significato dominare il territorio e la politica. Si affrontavano due schieramenti criminali molto potenti, la Nuova Camorra Organizzata del boss di Ottaviano Raffaele Cutolo, e la Nuova Famiglia, l’organizzazione camorristica nata alla fine degli anni settanta per contrastare la Nuova Camorra Organizzata del boss di Ottaviano, formata dall’aggregazione di vari gruppi criminali, clan della famiglia Alfieri compreso.
La prima vittima eccellente di quella guerra di camorra fu Marcello Torre sindaco di Pagani (Salerno), che il 16 dicembre del 1980 venne ammazzato, perché aveva deciso di non favorire un sodalizio criminale nell’affidamento di alcuni appalti per la rimozione delle macerie provocate dal sisma dell’80, «che costituisce anche un “segnale” nei confronti degli amministratori degli enti locali, ai quali vengono indicate le “procedure” che saranno seguite in caso di non assoggettamento o di dissenso.», cosí scrissero i membri della Commissione antimafia.
L’anno successivo, il 1981 fu segnato dal rapimento da parte delle Br a Napoli dell’ assessore regionale all’Urbanistica Ciro Cirillo che avvenne poche settimane dopo la perquisizione di Villa Wanda che portò gli inquirenti alla scoperta degli elenchi della loggia massonica P2 di Licio Gelli. Un fatto che riguardò non marginalmente il rapimento Cirillo. Perché personaggi di vertice dei servizi segreti italiani, da poco a riposo ma appartenenti alla P2, vennero richiamati in servizio allo scopo di gestire una trattativa segreta per il rilascio di Cirillo.
Una procedura informale: si mossero infatti i Servizi Segreti diversamente da quanto fatto con Aldo Moro,per la cui liberazione non ci fu alcuna trattativa con i brigatisti; gli uomini dei servizi si accordarono con il boss Cutolo, allora in carcere ad Ascoli, per risolvere sì la liberazione del rapito,ma anche a beneficio di camorristi e terroristi. Una collaborazione quanto mai discutibile,come riporta la sentenza della Corte di Appello in cui si legge di «un’inosservanza da parte dei servizi di sicurezza dei loro compiti istituzionali».
Già quindici giorni dopo il sequestro di Ciro Cirillo,Antonio Ammaturo, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Napoli, era al corrente che potenti dirigenti della DC campana si stavano muovendo per cercare di liberare l’assessore democristiano sequestrato dai terroristi rossi. E cominciò a scrivere un dossier che invierà al Viminale, ma il funzionario venne assassinato un anno e mezzo dopo e dopo non se ne seppe più nulla. I cassetti della sua scrivania furono completamente svuotati, mentre suo fratello,al quale il vicequestore aveva inviato una copia di quel dossier, non solo non lo ricevette ma morì poco tempo dopo in Tunisia a causa di un incidente stradale. Si fece dunque il vuoto. Particolarmente inquietante appare in quest’intricata vicenda, l’omicidio del dottor Ammaturo capo della squadra mobile di Napoli, ucciso il 15 luglio del 1982, insieme all’agente scelto Pasquale Paola da parte delle BR.
Secondo le dichiarazioni di terroristi dissociati, il funzionario sarebbe stato un “obiettivo” per l’attività svolta contro gruppi che sostenevano la lotta armata brigatista a Napoli. L’inserimento di Ammaturo nella loro lista risaliva a più di un anno prima. Al contrario, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia della Nuova Famiglia, l’omicidio Ammaturo sarebbe da porre in relazione con le indagini che stava personalmente svolgendo sulla vicenda del sequestro dell’assessore Cirillo. Se è inconfutabile la tesi secondo la quale furono i brigatisti rossi gli autori materiali del delitto Ammaturo, meno appare quella sui mandanti, dato che inquirenti, criminologi, e finanche giornalisti d’inchiesta di ieri e di oggi avevano già allora espresso forti perplessità al riguardo come riporta lo scrittore Pierluigi Larotonda,nel suo libro “Il delitto Ammaturo. Luci e Ombre di un mistero irrisolto” Giazira Edizioni, presentato l’8 novembre in Conferenza Stampa presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, alla presenza dell’onorevole Stefania Ascari.
«Se ad agire è certo che furono le Brigate rosse, a ideare il delitto furono mandanti ancora sconosciuti”.Larotonda nel quarantesimo anniversario dell’attentato, ha pubblicato il saggio che, attraverso un’attenta ricostruzione dei fatti basata su una rigorosa bibliografia, su fonti giudiziarie e parlamentari e sulla stampa dell’epoca, delinea una nuova possibile pista su questo atroce delitto. Questo attentato – afferma – non può essere separato dall’assassinio del criminologo neofascista Aldo Semerari mentre il camorrista Renato Cinquegranella, latitante da decenni, è uno dei custodi, se non il custode, della verità sulla morte di Ammaturo. «Questo libro rappresenta la volontà di andare ad indagare su un fatto storico che ancora presenta dei fatti da appurare e da verificare» , ha detto l’assessore alla cultura e cittadinanza del Comune di Prato, Simone Mangani . E citando Sciascia autore dell’ “Affaire Moro”, sullo statista ucciso dalle BR, «sembra che la realtà prenda ispirazione dalla finzione ha detto – e che questa abbia valore profetico per cui la verità storica non è mai ciò che avviene, ma ciò che noi giudichiamo sia avvenuto, secondo come ci è raccontato».
Larotonda sul delitto Ammaturo dice che “le Br a Napoli potevano contare ormai su pochi uomini dato che il loro capo Giovanni Senzani era già in carcere da molti mesi e il miliardo e 450 milioni di lire, cifra pagata per il riscatto di Ciro Cirillo, era già nelle sue mani. Inoltre è assai improbabile che poche persone prendessero una decisione così importante, ovvero quella di eliminare un funzionario di polizia che si era occupato in vita sua solo di lotta alle mafie e alla camorra.
Inoltre Ammaturo non poteva nemmeno investigare sul rapimento e successiva liberazione del potente assessore, poiché il caso era di competenza della Digos dato che il sequestro era stato effettuato dalle Brigate Rosse capeggiate da Giovanni Senzani. Infine, particolare di non poco conto, durante l’assalto brigatista contro il vicequestore uno dei brigatisti che avevano partecipato all’agguato, ferito e in fuga, venne ospitato e curato nella casa di Castel Volturno del camorrista Renato Cinquegranella legato al clan della Nuova Famiglia, che sarà poi condannato per favoreggiamento, ed è tutt’ora latitante.
Sempre Larotonda cita un delitto importante e che cioè «tra le indagini portate avanti dal vicequestore Ammaturo c’era anche quella sull’omicidio del criminologo neofascista Aldo Semerari, ucciso ad aprile del 1982 , in circostanze misteriose.La sua testa mozzata ed infilata in una busta di plastica fu fatta trovare sul sedile anteriore di una Fiat 128 rossa parcheggiata in viale Elena a Ottaviano, proprio di fronte all’abitazione di Vincenzo Casillo, detto “‘o nirone”, numero due della Nuova Camorra Organizzata e braccio operativo di Cutolo».
Dalle carte processuali chi si autoaccusó anni dopo (1993) di quel delitto fu un acerrimo nemico di Cutolo, il boss pentito Umberto Ammaturo,che affermò,non creduto dai giudici,di essere stato lui a tagliargli la testa perché Semerari “aveva tradito” la Nuova Famiglia facendo perizie false per un sicario di Cutolo perché fosse assolto,per favorire la NCO , e fece anche i nomi di cinque complici. Quindi si fa strada l’ipotesi sostenuta ormai da diversi osservatori e anche da Larotonda, che «non potendo uccidere fisicamente Raffaele Cutolo, la Nuova Famiglia decise di toglierlo di mezzo trasversalmente, ordinando la morte nell’aprile dell’82 del criminologo Semerari e facendo ricadere quell’omicidio sull’organizzazione criminale del boss Cutolo. Il boss,con la morte di Semerari venne allontanato dalle autorità perché ormai una persona scomoda per tutti».
E infatti, -prosegue Larotonda, «contro Cutolo,ritenuto il mandante del delitto Semerari, si decise immediatamente il suo trasferimento dal carcere dorato di Ascoli Piceno all’inferno isolato dell’Asinara. Nessuno voleva trattare più con lui. E di conseguenza perderebbe consistenza la tesi secondo la quale fosse Raffaele Cutolo il mandante dell’assassinio del capo della Mobile di Napoli, perché il boss era ormai «morto criminalmente», «sepolto vivo» in un carcere sardo già ad aprile dell’82».
La Nuova Famiglia, la potente organizzazione camorristica e imprenditoriale, senza l’ingombrante figura di Cutolo, divenne in breve tempo regina incontrastata del territorio campano. Ma restava un ultimo ostacolo da rimuovere, un nemico, un poliziotto che era una spina nel fianco della mala locale e di quella politica collusa: il vicequestore Ammaturo. Un uomo dello Stato che molto probabilmente era riuscito a scoprire verità inconfessabili come lui stesso raccontava al fratello e ai suoi collaboratori: «ho concluso, sono cose grosse, tremerà Napoli e l’intero Paese indicando in quel suo dossier,che non fu mai più ritrovato,la realtà di quelle scottanti indagini che furono molto probabilmente la causa della sua condanna a morte. E ancora, tre anni dopo il delitto Ammaturo, il 23 settembre 1985, avviene un’altra tragica esecuzione: Giancarlo Siani,il giornalista de “Il Mattino”, muore ammazzato perché stava svelando nei suoi articoli giornalistici tutte le interconnessioni tra i politici locali e i membri del clan Gionta nelle spese per la ricostruzione a Torre Annunziata in provincia di Napoli. Con l’omicidio di Giancarlo Siani si chiude il cerchio delle vittime eccellenti della guerra di camorra, e dei martiri del “sisma morale».
Al dottor Carlo Alemi, giudice istruttore a Napoli, infine spettò il compito di far luce sull’inchiesta del sequestro Cirillo, e il successivo rilascio dell’assessore democristiano. Con una straordinaria istruttoria affidatagli il 1° settembre del 1981 che si concluse il 28 luglio del 1988, egli arrivò a sentenza con un’ordinanza di 1.534 pagine destinata a fare storia per i 30 ergastoli inflitti. Un impianto accusatorio che scatenerà una vera e propria alzata di scudi in Parlamento,perché confermerà la mediazione politica da parte di esponenti della DC, così come contatti e intercessioni con i brigatisti per il tramite di Servizi Segreti, la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e la Nuova Famiglia del boss Alfieri. (Il nome di Alemi figuró anche nell’agenda della “Primula Rossa” Barbara Balzerani ).
A futura memoria è stato istituito un Premio dedicato al funzionario Ammaturo tragicamente scomparso,e c’è una concreta speranza, a quarant’anni dalla morte, di veder arrivare delle risposte anche giudiziarie sul delitto Ammaturo. «Le indagini sull’omicidio di Ammaturo – ha annunciato a luglio di quest’anno nel suo intervento Giovanni Melillo, procuratore nazionale Antimafia – saranno riaperte non appena saranno determinate nuove condizioni».
«E’ possibile riaprire le indagini dato che sono ancora vive le persone che sanno cosa accadde, a cominciare dal camorrista latitante dal 2002 evaso per la seconda volta, per un permesso concesso dalla magistratura di sorveglianza – ancora Melillo -. Era evaso già nel 1989, condannato per un terribile omicidio. Riarrestato, dopo 10 anni poté richiedere il beneficio e in occasione del quarto permesso evase, e da allora è latitante. La ricerca dei latitanti è in corso, e anche lui sarà chiamato, spero presto, a misurarsi con la responsabilità di aver dato rifugio e protezione a uomini delle Br in fuga».
Foto: Pierluigi Larotonda