Firenze – C’è un fenomeno reale e un fenomeno percepito. Secondo chi governa la Toscana quello della migrazione fa parte della seconda categoria: parlare di emergenza e di invasione è un approccio sbagliato e controproducente per gestire il problema, quello che crea diffidenza e rifiuto. Su questa linea la Giunta Rossi ha deciso di dare il via a una nuova fase dell’accoglienza con un’evoluzione avanzata del modello toscano dell’accoglienza diffusa che dal 2012 è diventato un dei punti di riferimento delle politiche nazionali. Secondo i dati del ministero dell’Interno ad oggi 14 luglio i migranti sbarcati quest’anno in Italia sono 85.466, il 10% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. La Toscana ne ospita attualmente 12.763 in 864 strutture a cui vanno aggiunti i 900 accolti nei centri Sprar, il sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati, che dunque rappresenta il 5% del totale.
Di fronte ai 3,7 milioni di toscani, quei 13mila nuovi arrivati (0,37%) non appaiono sulla carta così destabilizzanti e tuttavia né il presidente Enrico Rossi né il suo assessore competente Vittorio Bugli si nascondono che non si tratta solo di un problema di numeri. Come ha spiegato Marco Arno Hartwig, capo del team dell’Unione europea di supporto all’Italia per l’immigrazione, il problema non sta tanto nei 180mila arrivi dell’anno scorso e negli 85mila di quest’anno, ma nel fatto che sta “esplodendo” l’organizzazione dell’accoglienza e dell’integrazione visto che ormai “l’Italia non è più un paese di transito, ma si è trasformata in un paese di immigrazione”.
Migliorare dunque il modello toscano sulla base delle esperienze fatte finora è dunque l’obiettivo prioritario contenuto in un “libro bianco” che è stato presentato oggi in uno dei meeting tematici di più alto spessore qualitativo fra quelli finora organizzati dalla Regione. Nel caos lessicale delle definizioni, intanto, la Toscana sceglie quella di “persone migranti”, evitando la distinzione fra profughi, rifugiati, richiedenti asilo e migranti economici che non ha senso in una rotta come quella che dalla Libia giunge alla penisola che vede muoversi soprattutto le persone che cercano condizioni di vita migliore (l’85% di tutti gli arrivi).
Persone migranti è il termine giusto che corrisponde all’impostazione dei servizi sociali che sono servizi alla persona. I pilastri del sistema di accoglienza dovranno continuare a essere i comuni, che erogano questi servizi e sono in grado di “inventarsi” mille soluzioni per accoglierle e integrarle. Ne è convinto Rossi che ha proposto al governo di cambiare il sistema organizzativo basato sui bandi del Prefetto che affida a cooperative e ad altri soggetti privati la gestione dei nuovi arrivati: “Il danaro dovrebbe essere dato ai Comuni che lo gestirà in modo responsabile e trasparente con vincoli oggettivi e nell’ambito di una programmazione di carattere regionale, attraverso modelli di convenzione con il tessuto istituzionale e sociale”, ha detto Rossi. Del resto, è una constatazione ovvia che, nel momento in cui la gestione dei migranti diventa un business, sarà assai più difficile decidere interventi e cambiamenti nel momento in cui fosse necessario.
I comuni piccoli e medi, poi, saranno incentivati ad aggregarsi in modo che si possano attrezzare per gestire e non subire l’accoglienza, una situazione che provoca inevitabilmente reazioni negative da parte delle popolazioni. Lo strumento da utilizzare è poi quello che finora ha dat0 i migliori risultato e cioè lo Sprar che è stato travolto dall’aumento esponenziale degli arrivi per cui ora la maggior parte degli immigrati è ospitata nelle strutture di accoglienza straordinaria (CAS). La Regione e l’Anci daranno vita “a una task force per supportare e accompagnare i Comuni nella progettazione e nella gestione dei centri al livello area”. Per i Comuni che si attiveranno saranno previsti incentivi nel momento della distribuzione dei fondi sociali.
In sintesi il sistema toscano dell’accoglienza ci sarà il territorio che creerà i suoi Sprar con il concorso di tutti i soggetti sociali; il volontariato, il terzo settore, le categorie economiche, la scuola, lo sport e le parrocchie. In questo modo, come ha sottolineato Bugli, “si riesce a realizzare l’accoglienza diffusa mettendo al centro la coesione sociale”. Bugli e Rossi hanno infine ribadito la loro contrarietà alla creazione di centri di rimpatrio che n0n danno alcuna garanzia di essere più umani rispetto ai Cie, centri di identificazione ed espulsione, di una volta. Su questo punto Matteo Biffoni, presidente di Anci Toscana, appare più disponibile. “In ogni caso se devo fare qualcosa non potrò che farlo – ha ironizzato Rossi – Forse Biffoni troverà un angolino come sindaco di Prato”.
Foto: da sinistra Matteo Biffoni, la giornalista Valeria Brigida ed Enrico Rossi