Migranti in Albania: stop dei giudici per Giorgia Meloni è tutto da rifare

Devono rientrare in Italia i dodici richiedenti asilo inviati all’hotspot d’oltre Adriatico

Erano  solo 16 i migranti partiti alla volta dell’Albania, quattro sono stati rimandati subito indietro e ora anche i 12 rimasti devono rientrare in Italia. Tutto da rifare. Su quel pezzo di Adriatico si è consumato malamente in pochi giorni il primo esperimento di ‘esternalizzazione delle frontiere’, a firma Giorgia Meloni.  Sfruttando i venti di destra che soffiano forte sulla questione immigrazione, la presidente del Consiglio si è intestata un nuovo approccio al problema, suscitando anche l’interesse di una quindicina di paesi Ue. Li ha convocati tutti per parlarne prima del Consiglio europeo, in un pre vertice a Bruxelles cui ha partecipato anche Ursula Von Der Leyen. Convinta che il  ‘sistema Italia’ è da prendere in considerazione, la presidente della Commissione  aveva già invitato i 27 paesi europei “ad esplorare l’idea di sviluppare hub di rimpatrio fuori dalla Ue” e  “trarre lezioni pratiche” dall’esperienza italiana. Suggerimento raccolto visto che c’è già chi comincia a studiare le carte geografiche alla ricerca dell’hub più idoneo: il governo olandese ha proposto di creare centri per i rimpatri in Uganda, il ministero dell’Interno danese ha già messo mano al portafogli annunciando  il finanziamento di un centro in Kosovo dove ospitare fino a trecento migranti che non hanno diritto all’asilo.

L’Italia ci crede e ha investito molto sulla rotta per l’Albania ma al primo viaggio nelle acque calme dell’Adriatico si è scontrata con uno scoglio insuperabile, la sentenza emessa il 4 ottobre scorso dalla Corte di giustizia europea, che dice:  un Paese, per essere definito sicuro – condizione per  poter procedere al rimpatrio dei migranti – non deve ricorrere “alla persecuzione, alla tortura o ad altri trattamenti inumani” in ogni sua zona e per qualsiasi persona. E ben 15 dei 22 Paesi considerati sicuri dalla Farnesina non rispettano questo criterio. Neanche l’Egitto e il Bangladesh dai quali arrivano i famosi 16.

Dietro front quindi, si riparte, stavolta per il Cara (Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo) di Bari sembra, a bordo di un mezzo della Guardia costiera. Erano arrivati il 16 ottobre di notte in Albania, erano solo 16 sulla nave della Marina militare italiana Libra, dieci bangladesi e sei egiziani, sotto i riflettori di tutta Europa per verificare come funziona la nuova frontiera nelle politiche sull’immigrazione concepita da Giorgia Meloni. Il premier socialista albanese Edi Rama l’aveva convinto visto che un anno fa firmò il protocollo in base al quale avrebbe ceduto una piccola parte del suo territorio alla giurisdizione italiana per accogliere o ‘deportare’, a seconda dei punti di vista, i migranti diretti in Italia e dirottati in Albania. Passata la palla, poi Edi Rama sparisce, come più volte ha spiegato e niente vuole sapere di quel che succede nei territori ‘ceduti’.

Erano solo 16  i pionieri dell’esperimento, ‘maschi, adulti, non vulnerabili’ individuati attraverso un pre-screening fra gli 85 sui tre barconi provenienti dalla Libia e salvati dalla Guardia costiera in acque internazionali. Le ‘donne, i minori, gli adulti fragili’ sono fuori dal protocollo e sono stati portati a Lampedusa. Bisogna subito selezionarli quindi, distinguere, così è previsto dalla legge, e tutte le pratiche burocratiche per stabilire chi sono gli idonei si devono svolgere in mare aperto.

I maschi ‘scelti’ hanno così proseguito sulla nave Libra, altri due giorni di navigazione alla volta di Shengjin, piccola località balneare una sessantina di chilometri a Nord di Tirana, dove, nell’hotspot costruito in un quasi deserto, sono stati sottoposti a un’ulteriore screening. E’ un centro di 880 posti per il trattenimento dei richiedenti asilo e qui è capitato il primo serio intoppo: quattro dei 16 sono dovuti ripartire subito, due erano minori e due fragili, ma nel pre-screening a bordo nessuno se ne era accorto. Prevedibile, considerata l’inevitabile approssimazione delle procedure in mare, da cui però non si scappa: l’Italia la sognano ma non la devono neanche vedere.

A Shengjin, in massimo 28 giorni, si devono evadere le pratiche per stabilire chi ha diritto all’asilo, ma si sono sbrigate molto presto le Commissioni territoriali rigettando subito la richiesta dei 12 e trasferendoli a Gjader, un ex sito dell’Aeronautica albanese, con tre strutture: un centro per il trattenimento dei richiedenti asilo da 880 posti, un Cpr (Centro di permanenza per i rimpatri) da 144 posti e un penitenziario da 20 posti, “90 km quadrati di pali di ghiaia sotterranea per sostenere un enorme campo di detenzione” li ha definiti il deputato dem Paolo Ciani, andato in missione per visitare il sito.

I giudici comunque, che devono avere l’ultima parola,  hanno disposto il l rientro in Italia dei 12, con questa motivazione: “Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come ‘Paesi sicuri’ gli Stati di provenienza delle persone trattenute”, ha spiegato in una nota la presidente di sezione per i diritti della persona e l’immigrazione Luciana Sangiovanni.

Uno smacco insopportabile per il governo, per Giorgia Meloni in particolare che ci aveva messo più che la faccia su questa operazione orgogliosamente definita dai suoi supporter della maggioranza un “paradigma” per tutta l’Europa. E’ finita in meno di una settimana con un richiamo all’ordine dei magistrati. Le reazioni sono state infuocate, il ministro dell’Interno Piantedosi annuncia ricorsi a oltranza, fino in Cassazione, Meloni convoca un Consiglio dei ministri a stretto giro “per approvare delle norme che servono a superare questo ostacolo, perché io non credo che sia una competenza della magistratura stabilire quali sono i Paesi sicuri e quali no. E’ una competenza del governo che lo chiarirà”. Più in generale, aggiunge la presidente, “quello che i giudici dicono è che non esistono Paesi sicuri. Quindi comunico ufficialmente che il problema non c’è in Albania, il problema è che nessuno potrà essere mai più rimpatriato: il problema è che tu non puoi respingere la gente, il problema è che tu non puoi fare nessuna politica di difesa dei tuoi confini”.

Si riapre così rinfocolandosi il fronte dell’attacco ai magistrati ‘politicizzati’ e pro-immigrati. Su tutti, ecco il commento del presidente del Senato Ignazio La Russa che si dice molto, molto stupito, “ma non voglio commentare la decisione dei giudici, perché lo stupore supera ogni commento.  E si infiamma ancora di più il fronte delle opposizioni che marciano unite contro la figuraccia albanese, chiedendo che l’Europa apra una procedura di infrazione contro l’Italia. Fa di più il Pd che, per bocca della segretaria Elly Schlein, imputa al governo il ‘danno erariale’: “L’intero meccanismo non sta in piedi: si tratta di 800 milioni buttati che potevano essere usati per la sanità. Si configura un danno erariale”. Ed esorta il governo:  “Tornate indietro come siete costretti a far tornare indietro 16 persone che avete ignobilmente deportato in Albania spendendo 18mila euro a testa, dopo che per decenni vi abbiamo sentito abbaiare contro i 35 euro al giorno spesi per l’accoglienza in Italia”.

In effetti il capitolo costi di questa prima missione in Albania fallita in meno di una settimana è molto spinoso, basta dare qualche numero: intanto, nello stesso giorno in cui partiva il piccolo ‘carico’ verso l’Albania, altri mille migranti sbarcavano a Lampedusa e questo rende tutta la vicenda paradossale.  Ma i 16 invece hanno continuato il loro viaggio trasbordati sulla Libra, una nave da guerra lunga 80 metri, che può ospitare fino a 200 passeggeri. Aveva a bordo un equipaggio di 70 persone e il costo giornaliero per muoverla è di circa 20.000 euro quindi ne sono serviti 60.000 per la traversata, 4000 a migrante, due volte un biglietto andata e ritorno da Roma a New York e il costo di una crociera di lusso. E poi c’è tutto il personale, sanitari, funzionari , agenti di sicurezza che saranno pagati in trasferta. Insomma, l’operazione Albania, in cinque anni, secondo stime di massima costerà all’Italia circa 800 milioni di euro. 

Il  modello italico per combattere l’immigrazione irregolare ha preso un duro colpo quindi, non pare stare in piedi sia sul piano giuridico che su quello economico. Ma il più scoperto è il piano politico: ‘Il sogno europeo finisce qui’, era scritto sopra il manifesto srotolato da manifestanti albanesi al porto di Shengjin, quando è attraccata la nave Libra. E ancora non si sapeva come sarebbe andata a finire. Ora quel manifesto sembra un monito da tenere presente per le prossime mosse. 

Su tutto e tutti infine, ci sono le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ci riporta al più importante dei piani, quello morale. Nelle stesse ore in cui la Libra iniziava la sua traversata – e chissà se è solo un caso – il presidente, in visita a Milano al ‘Centro Orientamento immigrati’, ha ricordato “gli obiettivi di solidarietà che la Carta costituzionale ha posto alle basi della nostra convivenza”.

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