Firenze – E così il sindaco Nardella ha alzato bandiera bianca, ammettendo apertamente quanto, del resto, è sotto gli occhi di tutti. Se non la guerra, la battaglia è persa. Troppi i venditori abusivi. Un’invasione cui sembra impossibile mettere riparo. Che sta sconvolgendo regole e costumi. Che oppone una dilagante economia sommersa e parassitaria al mondo produttivo e ai commerci su cui poggiano da sempre città e paese. Che agisce, per di più, nella certezza dell’impunità.
Perché questo è il punto: il nostro esercito di vigili urbani demotivati, di polizia e carabinieri privi di strategie decisive, di magistrati disarmati, proprio non ce la fa. Manca, a monte, la volontà politica. Dunque mancano norme adeguate. Dunque si va al fronte con scarpe di cartone e armi giocattolo. Oltretutto è un esercito che tiene famiglia, di mentalità corporativa, legato a orari sindacali e burocrazie interne, inchiodato a bassi stipendi. Buono forse per una battaglia campale, però incapace di affrontare una guerriglia affamata, che attacca e fugge, agisce coordinandosi, sfrutta le tecnologie, sceglie ora e terreno. Come gli americani in Vietnam e i russi in Afghanistan, i nostri combattono per la sconfitta. Dobbiamo rassegnarci?
Il farmaco per curare la malattia in realtà ci sarebbe. La formula è nota. Basta produrlo. È una legge che dica chiaramente quanto segue: signori migranti, noi vi accogliamo volentieri e faremo il possibile per darvi una mano. Ma non chiedeteci la luna e, soprattutto, pretendiamo in cambio il pieno rispetto delle nostre leggi. Per chi fa commerci abusivi, chi si prostituisce, chi spaccia droga c’è il ritiro del permesso di soggiorno e l’espulsione coatta dal paese con rito immediato. Troppa severità? No. Semplicemente severità. Che coincide con serietà. Perché solo una lotta seria, ossia con le armi necessarie, può fermare fenomeni altrimenti imbattibili. Lo Stato non può stare a guardare fingendo di non vedere.
In questi giorni due immagini si sono guadagnate le prime pagine delle cronache fiorentine: i rossi gommoni di Weiwei appesi alle bifore di Palazzo Strozzi e, in piazza del Duomo, la ressa dei vu’ cumpra’ con tappetini carichi di false griffe. Due scenari che hanno evidenti collegamenti. Come in altre occasioni, la mostra di Weiwei vuole ricordarci il dramma di quanti fuggono dal loro paese rischiando la vita in mare. Gli abusivi del Duomo sono invece quelli che ce l’hanno fatta e che hanno anche trovato un modo di darsi un reddito.
C’è che i gommoni di Weiwei ci commuovono, sollecitano la nostra solidarietà, mentre quei tappetini ottengono ormai l’effetto contrario. Di insofferenza, di rigetto, di voglia di ordine e legalità. Voglia di Svizzera. Un tempo erano idee di destre, oggi si impongono anche a sinistra. L’immigrazione incontrollata ci costringe a rivedere categorie buoniste che davamo per scontate. Le rivediamo perché in fondo siamo razzisti? Oppure, credo più correttamente, perché ci sentiamo aggrediti?
La realtà è che i fiorentini, gli italiani, non ne possono più di questa invasione inarrestabile troppo spesso arrogante. Arrogante, certamente. Perché quando gli attori dei commerci abusivi diventano legione, quando occupano quasi militarmente ogni città, quando difendono anche con la violenza spazi illegalmente procurati, allora non si tratta più di infelici immigranti che sollecitano la nostra benevolenza e generosità. Qui si tratta di una guerra di mondi e di culture, di un conflitto non dichiarato ma effettivo. E l’obiettivo, cosciente o meno, è di scardinare le regole di convivenza civile che faticosamente ci siamo dati. Per protestare contro la cooperativa che gestisce la loro accoglienza, pochi giorni fa a Livorno una cinquantina di giovani africani ha bloccato per ore un intero quartiere malmenando anche qualche passante. Lo si può accettare?
Sera fa sono passato in bicicletta da Por Santa Maria e Ponte Vecchio. Ho fatto fatica a non travolgere quanto era in vendita sulla strada: manifesti, borse, occhiali, ombrelli, cappelli, orologi, collane. Dimentico qualcosa? Sì, che i venditori erano soprattutto giovani e aitanti senegalesi, con qualche magrebino e una spruzzata di pakistani e cinesi. Ieri, invece, ero sulla spiaggia di Calambrone, una magnifica giornata di settembre. Nel mio stabilimento balneare, ormai semideserto, prendevano il sole una ventina di persone, in quello confinante della polizia appena sette. Vu’ cumpra’? Varie centinaia. Passavano al ritmo di uno e più al minuto, tutti con le mercanzie di cui sopra con l’aggiunta di palloni e giocattoli. “Tu compra, capo”. No grazie. Sbuffando. Infinite volte. Questa è la situazione.
Delle migliaia salvati in mare ogni giorno (giustamente), molti si disperdono in Europa. Tanti altri, con i confini chiusi, restano però da noi. Anche volentieri, perché se altrove offrono ospitalità migliore, solo in Italia trovano la rete clandestina che garantisce di viver decentemente grazie all’abusivato. Non solo. Da noi non si rischia nulla. Al più il sequestro della merce. Oppure una denuncia a piede libero. E sai che disgrazia per un giovane immigrato pronto a tutto sapersi denunciato quando dopo qualche ora è restituito alla libertà.
Tutto ciò se e quando il nostro esercito decidesse di entrare in azione. Cosa che si esaurisce sempre rapidamente. Come adesso: la rabbia del sindaco ha mobilitato il prefetto. Perciò si pattuglierà Firenze anche di notte. Certo. Per qualche giorno, forse una settimana. Poi le truppe rientreranno in caserma. D’altra parte, non ci sono soldi per gli straordinari. E in ogni caso si tratta sempre e solo del centro storico. Gli altri quartieri, dove gli abusivi sono forse più numerosi, mai che vengano presi in considerazione.
Chi afferma che l’immigrazione porta ricchezza racconta solo una parte del problema, quella che più conviene all’anima buonista. Quale immigrazione? Quella che è riuscita a inserirsi senza dubbio. Ma gli altri, e sono ormai milioni, la ricchezza la sottraggono. Vivono di accoglienza per mesi e anni al costo di 32 euro al giorno (troppi nostri pensionati ne ricevono sì e no la metà), poi devono adeguarsi a una vita di espedienti. Con la disoccupazione all’11% è difficile che trovino un lavoro vero. Dunque finiscono per alimentare il sommerso, la prostituzione, lo spaccio di droga, le file della malavita. In alternativa c’è la schiavitù nei campi per pochi euro. Perché comunque devono pur mangiare, avere un tetto, coprirsi, curarsi e all’occasione mettere figli al mondo. Con una dinamica che si ripete: occupano case, gravano sull’ansimante ma gratuito sistema sanitario, attingono al welfare grazie alle associazioni umanitarie, mentre la loro sola presenza costa una fortuna per l’impegno richiesto al volontariato, agli enti locali, alle forze dell’ordine, tribunali e via elencando.
Forse tutto ciò è esagerazione, forse è solo il ritratto distorto di un fenomeno epocale. Però è quanto ormai la gente pensa, mentre gli stessi prefetti avvertono il governo di aver raggiunto il limite, mentre si moltiplicano gli episodi di insofferenza se non d’intolleranza, mentre la stampa più avveduta lancia allarmi, fin qui, per la verità, con scarso successo. C’è che occorre battere la cultura del buonismo a prescindere. E’ l’ostacolo più duro da sgretolare e cederà solo sotto il peso di fatti drammatici. Sperando che non accada troppo tardi.
Tocca in sostanza alle forze democratiche riportare prima possibile alla ragione e al pragmatismo quanti ancora si ispirano a lussi ideologici non più consentiti dalle attuali circostanze. In Europa montano venti di autentico razzismo che hanno anche in Italia non pochi epigoni assetati di sangue. Se davvero vogliamo bene al nostro paese e davvero vogliamo aiutare la buona immigrazione, dobbiamo imparare a difenderci da chi approfitta della nostra benevolenza.