Firenze – Per il Festival Middle East Now è stato presentato al Cinema La Compagnia Humanity in Trial di Jonas Bruun, cineasta danese presente in sala.
Il documentario Humanity in Trial racconta l’incredibile vicenda del giovane arabo-danese Salam che, per aver aiutato come volontario dei rifugiati in Grecia, nell’isola di Lesbo, viene accusato dalle autorità greche di traffico di esseri umani.
Per Salam iniziano un incubo esistenziale e una odissea internazionale per valutare la possibile invalidità giuridica dell’accusa che gli viene mossa dal tribunale greco. Il giovane, che ha deciso di salvare vite umane nelle tormentate isole greche in cui da molti anni approdano grandi barconi che spesso tragicamente affondano, deve affrontare un processo nel quale può rischiare l’ergastolo.
Alla fine del film scopriamo che Salam viene fortunatamente assolto dal tribunale greco dopo una dilaniante attesa. Il giovane volontario è stato aiutato dai familiari e da avvocati danesi che gli hanno consigliato di ascoltare il parere di esperti internazionali.
Il caso di Salam è emblematico di una situazione molto grave e pericolosa nell’area mediterranea in cui i paesi europei, come la Grecia, direttamente coinvolti nell’accoglienza dei rifugiati alterano o mistificano il diritto umanitario. Il documentario Humanity in Trial ci fa riflettere sulle politiche del governo italiano in materia di accoglienza dei migranti.
Il pomeriggio del festival Middle East Now ha anche offerto un incontro sulla Siria, alla presenza di Giuseppe Alizzi (esperto di Siria) ed Eugenio Dacrema (ricercatore su Medio Oriente e Nord Africa di ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale). Sono stati affrontati temi chiave quali il governo locale, l’economia di guerra e il suo impatto sulla futura ricostruzione della Siria.
Dalla frastagliata cartografia della guerra civile siriana, il festival ci ha quindi condotti nell’Algeria contemporanea, aggredita dal fanatismo islamico. Il Middle East Now rende infatti omaggio ad un grande maestro del cinema algerino, Merzak Allouache, che purtroppo non è riuscito ad essere ieri sera presente in sala per presentare il magnifico Divine Wind.
Come si può uccidere e morire a vent’anni in nome di Allah? Il cineasta algerino racconta la storia di due giovani terroristi, Amine e Nour, che stanno preparando un attentato a dei pozzi petroliferi nell’entroterra algerino. Nour, una giovane donna, e Amine, un ragazzo, si sono nascosti in una grande casa desolata nel mezzo del deserto. Sarà Nour a procedere senza esitazioni verso l’attentato suicida, cercando di convincere Amine, che non vuole morire. Alla fine del film, Amine, per impedire a Nour di indossare il giubbotto pieno di bombe, innesca una lotta fatale che causa lo scoppio delle bombe. Entrambi sono così uccisi.
La splendida e intensa fotografia in bianco e nero crea lo spazio psicologico dei personaggi. L’immagine fotografica svela la condizione esistenziale, religiosa e amorosa che stanno vivendo i due ragazzi. Divine Wind appare un film molto originale che racconta l’adesione al fanatismo religioso e osserva l’esperienza totalizzante tra l’iniziato e la fede religiosa.
Spesso i media, ma anche i documentari che passano nei festival, ci mostrano, a proposito del fenomeno dell’Isis e della radicalizzazione, gli aspetti antropologici o geopolitici. Allouache cerca invece di raccontare l’esperienza religiosa e come questa venga vissuta dai giovani, mostrando gli atteggiamenti complementari di Amine e Nour: lui titubante e insicuro, lei invece decisa e determinata. Uno sguardo sul comportamento psicologico dei giovani fanatici che non vengono solo indottrinati dalle gerarchie dell’Isis, ma nella strada del fondamentalismo religioso trovano un loro specifico percorso ascetico ed individuale nella ricerca assoluta di Dio.
Divine Wind è l’ultima opera artistica del grande cineasta algerino che recentemente ha girato anche il documentario Investigating Paradaise, in cui domanda agli intervistati cosa sia il paradiso per loro e se credano o meno che, dopo la loro morte, ci siano 72 vergini in loro attesa, come promesso dal Corano.
Merzak Allouache, nato nel 1944 ha studiato presso l’Istituto Nazionale di Cinema di Algeri per continuare in seguito all’IDHEC di Parigi. Tra le sue opere più note, realizzate tra l’Algeria e la Francia, ricordiamo Bab El-Oued City, Salut Cousin!, l’Autre Monde e Chouchou.