Firenze – Osama la bambina afghana che sotto il regime talebano si traveste da maschio per lavorare e aiutare la famiglia, Mohanad Kojak, lo stilista egiziano che sfida le convenzioni e le discriminazioni del suo paese, Baloo, Vinyl Mode e Dish Dash, Dj sauditi produttori di musica elettronica che dai luoghi underground sono riusciti a vincere i lacci della tradizione fondando un festival che ha richiamato 400mila persone.
Sono loro i personaggi positivi della dodicesima edizione del festival Middle East Now che dal 28 settembre al 3 ottobre presenta ciò che si muove nel profondo delle società mediorientali attraverso il cinema l’arte e la musica. Non soltanto guerre e violenza, rovine e sofferenza, ma soprattutto i fermenti nuovi che possono spingere verso la pace, il rispetto dei diritti, il rifiuto dell’oppressione sotto qualsiasi forma.
Anche quest’anno i direttori artistici Lisa Chiari e Roberto Ruta (foto) hanno confezionato un’offerta di grande interesse: 42 film e 19 cortometraggi con 33 anteprime italiane, 4 internazionali, 2 europee. Al cinema La Compagnia e al cinema Stensen.
Il tema scelto per questa edizione è “(Re)-aligning perspectives”, riallineare le prospettive: “Una sorta di reset dopo la lunga parentesi individualistica e proiettata su noi stessi del Covid, per continuare a guardare altrove”, dice Lisa. Ritrovando le ragioni del dialogo con gli altri popoli attraverso la conoscenza della loro vita reale, delle loro aspirazioni e delle loro lotte.
Il Focus non poteva non essere l’Afghanistan, il paese che si trova nella dura condizione di vedere bloccato il processo di liberazione per ricadere nell’oscurantismo, che opprime soprattutto le donne. Il festival propone capolavori assoluti del cinema afgano tra cui Osama di Siddiq Barman (2003), ll documentario Kabul, City in the Wind di Aboozar Amini (2018) e Forbidden Strings di Hasan Noori (2020).
Si parla di Afghanistan non solo attraverso i film, ma anche libri e incontri come quello del 3 ottobre “Afghanistan, dalla Repubblica all’Emirato dei Talebani: quale futuro per il suo cinema e la sua cultura?” con la partecipazione di giornalisti, studiosi e registi afghani.
Un altro paese in grave difficoltà, il Libano, è al centro del festival con uno speciale programma di proiezioni curato da Aflamuna, piattaforma on line che promuove il cinema arabo indipendente, sotto il titolo “Filming Catastrophe”. I film e i documentari proposti – dice Ruta – “ci offrono l’occasione per riflettere e forse anche per cercare speranze di guarigione e ricostruzione”.
Siria e Iran sono sempre rappresentati dal meglio uscito negli ultimi tempi della loro cinematografia così come la Palestina che presenta il cortometraggio “The Present” di Farah Nabulsi (2019), candidato all’ultima edizione degli Oscar, “The Mayor” di David Osit (2020), una saga politica nella vita reale che segue Musa Hadid, il sindaco cristiano di Ramallah. E poi l’anteprima di “Palestinian Women: a guide to cultural resistance” di Mariette Auvray (Francia, 2020), per finire con “200 Meters”, opera prima del giovane regista Ameen Nayfeh, premio del pubblico alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia.
La rassegna si conclude con il film ZIP-IT di Anicee Gohar (Egitto 2021) che insieme al protagonista Mohanad Kojak saranno presenti in sala.
Da segnalare infine due mostre: la prima di fotografie e video “Marrakech, in times of stillness” del giovanissimo talento marocchino Tabit Rida (MAD Murate Art District dal 29 settembre al 20 novembre), la seconda di illustrazioni “Watermelon after lunch”dell’artista di origini kuwaitiane Zagara Marwan, autrice anche dell’immagine logo dell’edizione 2021 del Middle East Now (Cinema La Compagnia, dal 28 settembre al 3 ottobre, poi alla galleria Cartavetra fino al 6 ottobre).