Firenze – Più che una rivoluzione permanente quella che vive l’Iran è una evoluzione permanente, una transizione che non finisce mai. Per comprenderlo, dunque, occorre uscire dagli stereotipi che finora hanno impedito di penetrare la realtà politico sociale della Persia. E’ questa la raccomandazione che hanno fatto Pejman Abdolmohammadi autore insieme a Giampiero Cama del libro “L?Iran contemporaneo. Le sfide interne e internazionali di un paese strategico” e Nicola Pedde, Direttore dell’Institute for Global Studies intervenuti ieri sabato 9 aprile al cinema Odeon nell’ambito del Festival Middle East Now giunto all’ultima giornata.
Titolo dell’incontro, che ha registrato una grande partecipazione di pubblico, “E se ricominciassimo a parlare di Iran?“. I due relatori hanno messo in luce il carattere ibrido della Repubblica Islamica che prevede libere elezioni, anche molto combattute, innestate in una struttura rigida qual è quella che vede una “Guida” religiosa suprema che, per esempio, seleziona le candidature. All’interno di questo sistema si muove una dinamica politica fra riformisti, pragmatisti e conservatori che ha garantito un’alternanza alla Presidenza in grado di rispondere alle esigenze e al sentire della società. “La teocrazia non ha una secondo generazione”, hanno sottolineato i due relatori. Un cambiamento generazionale enorme se si pensa che 55 milioni di iraniani è sotto o 45 anni. Il percorso che sta dunque avvenendo è l’opposto di quello della Turchia che sta progressivamente lasciando il laicismo statale che le aveva dato Kemal Atatuerk.
Una migliore comprensione dell’Iran è anche condizione per capire che cosa sta accadendo nel Medio oriente, come sono mutati i rapporti geopolitici fino a creare una situazione nella quale l’Arabia Saudita, finora stretta alleata degli Stati Uniti, considera il nuovo ruolo di Teheran come una questione di sopravvivenza. “Di fatto Arabia saudita e Iran sono già in guerra”, ha detto Pedde.
Foto: Hassan Rouhani
