Firenze – Ieri sera al Cinema Stensen il festival Middle East Now ha presentato tre opere molto interessanti del cinema Mediorentale: Angelus Novus, corto di Aboozar Amini; Once Upon a Time, Cinema, film del famoso regista iraniano Mohsen Makhmalbaf e The Valley del noto regista libanese Ghassan Salhab.
Angelus Novus (2015) narra la storia di due bambini afgani rifugiati in Turchia che provano a sopravvivere facendo i lustrascarpe, ma la concorrenza mette in crisi il loro lavoro. Un ritratto “neorealista” che ci avvicina a una realtà sociale in continua trasformazione. Alla fine del film i due bambini litigano con la concorrenza, rappresentata da un bambino siriano, futuro compagno di classe nella scuola dove studiano, che ha scelto il loro “posto” di lavoro, l’angolo di una strada della città. Il conflitto fra i bambini rifugiati, compagni di scuola, richiama la difficoltà di integrarsi, ma fa balenare anche la possibilità di un loro inserimento nella società turca: da bambini che lavorano per strada a compagni che possono studiare insieme.
Once Upon a Time, Cinema (1992) è un capolavoro di Mohsen Makhmalbaf, con l’attrice Simin Mohtamed Arya, che è ospite speciale del festival. Il film racconta l’avventurosa introduzione del cinema alla corte Qajar, dove il monarca, che sembra detestare il cinema, dopo aver visto il suo primo film, s’innamora della protagonista, scatenando una grande gelosia nel suo Harem. Il regista che proietta il film ha le sembianze di Chaplin, simbolo universale della libertà dell’arte cinematografica nei confronti di ogni dispotismo. Il potere viene messo in crisi dal cinema, lanterna magica e caleidoscopio visionario. La potenza onirica e visiva del medium destabilizza il sistema dello sguardo dispotico del potere, maschilista e liberticida. Once Upon a Time, Cinema, è un’opera magistrale dove le immagini delle origini della storia del cinema iraniano, nel corso del film, si uniscono a molteplici evocazioni del cinema occidentale: Fellini, Bergman, Tarkowskij.
The Valley (2014), del libanese Ghassan Salhab, ci proietta in un paesaggio rarefatto, dove un uomo di mezza età, che ha perso la memoria dopo un incidente di montagna, incontra delle persone con l’auto guasta e li aiuta a ripartire. Ripartono insieme a lui, dirigendosi verso una grande tenuta dove vivono. In questa tenuta si fa agricoltura ma si svolgono anche traffici illegali. Nella scena finale del film il personaggio recupera qualche barlume di memoria, quando nella valle si sentono violenti bombardamenti. Ghassan Salhab con un’estetica minimalista crea un’opera metaforica. I personaggi sono figure simboliche di un paese profondamente lacerato, dove l’identità personale sembrano smarrita. L’uomo che ha perso la memoria può diventare così il simbolo di un popolo che, frastornato dalla guerra, è bloccato nel suo landscape, incapace di reagire, senza memoria e senza storia, ostaggio di personaggi devianti. Il film, con tocco antonioniano, ci fa riflettere sulla difficilissima situazione sociale e geopolitica del Libano di oggi.