Firenze – Al festival Middle East Now è stato presentato il documentario Nowhere to Hide, in anteprima italiana, alla presenza del regista Zaradasht Ahmed. Nowhere to Hide racconta la vita e la resistenza quotidiana dell’infermiere Nori Sharif che abita in una delle zone più pericolose dell’Irak, il cosiddetto “ Triangolo della morte ”, nel centro del paese. Quando le truppe internazionali si ritirano nel 2011, Nori Sharif è tra i pochi a rimanere. Nel 2014, con l’arrivo delle armate dell’ISIS, Nori e la sua famiglia sono costretti a fuggire dalla città di Jalawla. Da quel momento Nori decide di filmare se stesso.
Il progetto del regista Ahmed è non di proporre una diagnosi della guerra in Irak, ma di fotografare i sintomi della “malattia”. L’ospedale dove lavora Nori assume un ruolo fondamentale nel film; la guerra è vista a fianco delle vittime che vengono curate. Quando Nori decide di filmare se stesso, si apre un periodo di crisi e di paura dovuto all’invasone dell’Isis. Lo sguardo esterno del regista cede al protagonista la narrazione di una fase della guerra in cui Nori ha perso la sua città ed è costretto alla precarietà di un accampamento nel deserto.
Nowhere to Hide è un documentario capace di mostrare il coraggio eroico del protagonista che cerca di salvare il suo popolo e di sopravvivere a una guerra feroce. Il regista iracheno ieri, durante la presentazione del film, insieme ai direttori del festival, ha dichiarato che il focus del suo documentario non è la rappresentazione del nemico, né il contesto storico, politico e militare. Lo sguardo significativo del film riesce a filmare la guerra attraverso l’ethos e l’esperienza umana di Nori, che, con l’impegno e il coraggio del suo lavoro di infermiere insieme ai suoi colleghi, salva ogni giorno tantissime vittime.
La resistenza di Nori è la resistenza pacifica di chi non cerca la vendetta nei confronti del nemico, ma vuole ancora continuare a sperare di poter vivere nel suo paese. Nowhere to Hide oppone alla feroce guerra nel “ triangolo della morte ”, la dignità umana, la resistenza pacifica e l’etica professionale. Il film non può non farci riflettere anche su quanto accade oggi, nel contesto geopolitico in cui viviamo, e, in particolare, non solo a quanto accade in Irak, ma anche agli sviluppi della crisi siriana.