Firenze – Nel quadro del festival Middle East Now, è stato presentato al cinema della Compagnia il libro della giornalista del Corriere della Sera Viviana Mazza, Le ragazze di via Rivoluzione. Dal Pakistan all’Egitto un viaggio nella libertà delle donne.
Il libro raccon ta la resistenza di alcune donne mediorientali vittime del patriarcato, di violenze e leggi ingiuste. Le ragazze di via Rivoluzione è un libro in forma di reportage che attraverso alcune storie di donne mediorientali rivela le nuove forme di protesta in una società globale.
Viviana Mazza, tra l’altro nota al pubblico per il suo best-seller Storia di Malala (Mondadori 2013), ci ha raccontato ieri sera la storia di un’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh, una delle pochissime avvocate dei diritti umani rimaste in Iran dopo la repressione del 2009.
“Nasrin – ha spiegato la giornalista – è una delle donne più coraggiose che io abbia mai conosciuto. Ha difeso minorenni nel braccio della morte, attivisti studenteschi, curdi, di religione bahai e della campagna, eccetera. Nel 2011 è stata condannata a sei anni di carcere: cinque per aver ‘minacciato la sicurezza nazionale’ e uno per essere apparsa senza velo in un video (alla fine ne ha scontati tre).”
Viviana Mazza ieri, durante il Talk delle 19.30, ci ha quindi introdotto nell’intricata società saudita, che era il focus del film proiettato dopo l’incontro, Amra and the Second Marriage di Mahmoud Sabbagh. L’ Arabia Saudita oggi è un paese in fermento tra tradizionalismo e modernità, dove il potere politico vieta di organizzare lo sport, di avere delle palestre pubbliche. Le donne debbono avere un tutore, chiamato guardiano, che spesso è il padre o il fratello, il quale le controlla nelle loro scelte fondamentali.
Dal 24 giugno 2018 le donne in Arabia Saudita possono finalmente guidare l’auto senza rischiare di finire in prigione. Il film Amra and the second Marriage ci racconta proprio alcune questioni che riguardano la sfera giuridica e sociale della donna, ancora schiacciata dal potere maschile. Amra, la protagonista del film, è costretta a subire che il marito decida di risposarsi. Lei resta con le figlie e la madre malata, mentre è accusata dalla terribile suocera di non aver dato un figlio maschio a suo figlio, che quindi ha buon diritto di risposarsi.
Amra, isolata dalla comunità, vorrebbe vendicarsi. Sabbagh confeziona una commedia, tra melodramma e farsa, in cui comicità, umorismo e iperrealismo creano una libertà visionaria attraverso la quale Amra può esorcizzare l’ingiustizia subita. Ed è proprio con le armi della satira e di una fantasia visionaria che la protagonista si ribella al marito e alla struttura sociale che la opprime.
Tra amici progressisti e attiviste femministe che la sostengono, Amra incontra personaggi maschili che l’ammoniscono, come il fasullo imam che le dice che “mostrare ingratitudine al proprio marito è un peccato mortale”. Il cineasta saudita, noto a livello interazionale per il film Barakah meets Barakah (2016), racconta così una società in trasformazione tra repressione e possibile liberazione culturale.