Pistoia – Nell’agosto 2006, mentre a San Lorenzo grondavano stelle, aggiungevo il mio pianto a quello del cielo impacchettando con ordine gli ultimi brandelli di un matrimonio. Mia madre mi aiutava a disfare quello che ancora restava in piedi di un vecchio noi fuori moda, spettatrice solitaria della triste nudità del fallimento.
Non tolleravo nessun altro accanto a me, ma la sua presenza mi dava conforto. Mi faceva sperare che in qualche modo sarei sopravvissuta: ai piedi di ogni croce c’è sempre una madre.
In quei giorni colmi di spleen, soffocata dall’afa di una Roma deserta, provavo a esorcizzare il dolore conferendo al lutto una colonna sonora: Recueillement di Charles Baudelaire, cantata da Léo Ferré. Ogni singolo verso di quel nero sonetto calzava come un guanto sull’anima ferita: il dolore così vivo da tramutarsi fisicamente in silenzioso compagno, gli anni trascorsi e ormai sbiaditi, di nuovo vividi nel momento dell’addio. E che dire del rimpianto sorridente, della dolcezza mortuaria della notte? Da quel momento, Baudelaire è stato per me il poeta dell’estate, seppur di un’estate morente.
Ho letto dunque con piacere Un’estate con Baudelaire, di Antoine Compagnon. Il libello, recentemente pubblicato in Italia da Garzanti nella traduzione di Camilla Panichi, prosegue la fortunata esperienza di Un’estate con Montaigne: in entrambi i casi i contenuti, tratti da unprogramma radiofonico di successo, sono stati poi pubblicati in forma di saggio.
Un’estate con Baudelaire si apre con una gioiosa e provocatoria premessa iniziale:
Cosa c’è di più bizzarro del trascorrere un’estate con Baudelaire? […] il poeta del crepuscolo, dell’ombra, del rimpianto e dell’autunno
Il testo si configura fin da subito come guida alla scoperta di uno dei più eminenti autori francesi e come vero e proprio invito alla lettura (e alla riscoperta) delle sue opere: “Ho deciso di trattare Baudelaire senza la presunzione di dover dire tutto, cercando […] di riportare nelle librerie un maggior numero di lettori affinché ritrovino la strada dei Fiori del male e dello Spleen di Parigi” .
Già nelle prime pagine, dilagano non solo la perpetua nostalgia baudelariana del sole che dardeggia sul mare – dono che solo la fugace estate sa regalare – ma anche il costante rimpianto per la “bella estate dell’infanzia, la bella estate perduta per sempre”.
La figura materna, la signora Aupick, è in effetti protagonista del primo capitolo, dedicato alla lettura di un toccante e poco conosciuto componimento dei Fiori del male, in cui traspare la malinconia nei confronti di una effimera condizione di felicità primigenia, ormai definitivamente tramontata: “Non ho dimenticato, vicino alla città, la nostra casa bianca, piccola e tranquilla. […]. E il sole la sera […] sembrava, grande occhio spalancato nel cielo curioso, contemplare le nostre cene lunghe e silenziose”
Del resto l’età infantile, “il bel tempo delle tenerezze materne”, si rivela un intimo paradiso di breve durata, repentinamente stroncato dal secondo matrimonio di Caroline Baudelaire con Jacques Aupick e destinato a lasciar spazio a un malinteso dolente che tra madre e figlio non cesserà mai.
Si pensi, in questo senso, a Benedizione, prima lirica dei Fiori del male: “Allorché […] il Poeta appare in questo mondo attediato, sua madre impaurita e carica di maledizioni stringe i pugni verso Dio che l’accoglie pietoso”.
Nel capitolo conclusivo, compare significativamente – quasi a chiudere il cerchio del mundi muliebris del poeta – anche Mariette, la serva e la donna che, “nei suoi anni da orfano”, dette al poeta quell’affetto che la madre, rigida e riservata, gli concedeva solo con parsimonia”.
Evocare la tenerezza di Baudelaire nei confronti della serva generosa risulta utile per stemperarne la discussa misoginia, che ben emerge nelle pagine del libro che Compagnon dedica alle donne amate, odiate e cantate dal poeta. Non solo gli affetti familiari – Caroline, Mariette, il padre troppo presto scomparso – trovano spazio in Un’estate con Baudelaire, ma anche i rapporti sociali e artistici del poeta, da quello controverso con Victor Hugo, fino all’ammirazione per Delacroix e all’amicizia con Manet.
Sono infine presenti riflessioni di più ampio respiro, che mirano a indicare il poeta flâneur quale testimone insigne dell’età moderna. Si parte dalle considerazioni sulla perdita dell’aureola nel celebre apologo tratto da Lo Spleen di Parigi, che “consacra Baudelaire come uno dei più lucidi osservatori della desacralizzazione dell’arte nel mondo moderno”, per arrivare alla lettura di A una passante, lirica dei Fiori del male che reinterpreta il tema dell’incontro di stilnovista memoria alla luce dei ritmi frenetici della metropoli e dona allo sguardo della vedova protagonista, ben diversa dalla Beatrice dantesca, “la dolcezza che incanta e il piacere che uccide”.
E ancora, accanto al fango e all’oro che una controversa Parigi riserva al poeta-straccivendolo dotato del suo personale uncino, la penna – “Ti amo, infame capitale!” scriverà Baudelaire in un progetto di epilogo dello Spleen di Parigi – Compagnon si sofferma sullo spleen baudelairiano che rende la vita dura e pesante, come la pietra delle piramidi: “Già tu non sei più, o materia vivente, che un granito circondato da un vago spavento, assopito nel fondo di un Sahara brumoso” e sulla bellezza che per il poeta, ormai trasfigurato dalla noia in una sfinge, una piramide, un cimitero, “un vecchio camerino pieno di rose passe”, è sempre bizzarra e triste: “Ho trovato la definizione del Bello, – del mio Bello. È qualcosa di ardente e di triste, qualcosa di un po’ vago, che lascia corso alla congettura”.
Un’estate con Baudelaire è un piccolo vademecum estivo per scoprire aspetti molteplici della personalità poetica e artistica di Charles Baudelaire, e soprattutto per gustare, ancora una volta, la bellezza senza tempo della sua poesia.
Una lettura da consigliare vivamente non solo nel periodo estivo, ma soprattutto in settembre, ai maturandi impegnati in una “fantastica scherma” con un poeta duplice, dolentemente indolente e sempre paradossale, di cui pare doveroso rispettare e conoscere tutte le contraddizioni.
Madre dei ricordi, amante delle amanti,
o tu che assommi tutti i miei piaceri, tutti i miei doveri.
Ricorderai la bellezza delle carezze,
la dolcezza del focolare, l’incanto delle sere,
madre dei ricordi, amante delle amanti?
C. Baudelaire, Il balcone
Antoine Compagnon, Un’estate con Baudelaire, Garzanti 2016, 145 pp.