Metodi e strategie per rilanciare idee e politiche della Sinistra

Vannino Chiti propone un “compromesso democratico con il capitalismo”

Da tempo Vannino Chiti riflette sulla sinistra, sul riformismo, sul rapporto fra laici e cattolici con suggestioni sempre interessanti e capaci di suscitare dibattito. Dare un’anima alla sinistra si presenta come un vero e proprio manifesto di una sinistra rinnovata. Esce dopo che l’ultima competizione elettorale è stata vinta dalla destra estrema, erede di quel MSI che era espressione politica della Repubblica di Salò. Ne è scaturito un governo composto di ministri che si rifiutano di definirsi antifascisti, cioè di assumere nel loro operare il fondamento della Carta Costituzionale sulla quale hanno giurato: i valori dell’antifascismo, i principi democratici della divisione dei poteri, il rispetto del pluralismo. È in atto uno strisciante e pericoloso revisionismo storico, un tentativo chiaro di cambiare la narrazione storica e il giudizio sui fatti.

È una condizione enorme che assegna nuovi compiti e più gravose responsabilità alla sinistra in termini di capacità ed efficacia di un’opposizione in grado di costruire un’alternativa.

Il vento di destra soffia non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo e nella stessa Europa, dove – per alcuni Paesi – è invalsa la formula ossimorica di “democrazia illiberale” e dove si pone a breve la sfida di impedire ai conservatori e alle formazioni neofasciste e neonaziste di consolidare le loro posizioni e metterle in grado di costituire una maggioranza alternativa a quella attuale fra popolari, socialisti, liberali. Negli USA c’è il rischio concreto che rivinca chi ha tramato per un golpe che annullasse la vittoria del candidato democratico. In altre parti del mondo, come Russia, Turchia, Egitto, sono al potere autocrati che usano il momento elettorale solo come strumento per cancellare il pluralismo e rafforzare il loro potere personale e di influenza. Le zone di guerra sono ormai decine e i conflitti bellici sembrano inarrestabili. È partita la corsa agli armamenti spaziali, con la spada di Damocle sempre incombente del ricorso ad armi nucleari.

È imprescindibile dunque porsi nell’ottica internazionale e geopolitica per coglierne le dinamiche e le tendenze perché è a quel livello che si costituiscono nuovi blocchi di alleanze. Ha ragione Chiti a sottolineare questo aspetto cruciale di una politica lungimirante, che non si limiti al suo orticello nazionale e alle beghe di potere interno. Ciò richiede anche alle formazioni della sinistra livelli sovranazionali di discussione, di strategie condivise e di indirizzi, di elaborazioni rinnovate e di proposte più chiare ed efficaci. Perché quasi più niente si gioca ormai a livello locale.

Chiti si interroga sulle ragioni del crescente indebolimento dei Partiti della sinistra in Italia e in Europa. Le risposte vengono individuate nell’incapacità di elaborare strategie per contrastare le nuove trasformazioni del capitalismo: finanziario, “di sorveglianza”, digitale, che richiederebbero un nuovo patto politico, un “compromesso democratico con il capitalismo” lui lo chiama, dopo quello socialdemocratico, che ha costruito welfare e reti di sicurezze e di solidarietà per i cittadini. Occorre contrastare il neoliberismo che ha preso piede mettendo al centro il tema del lavoro e della dignità delle persone, soprattutto di fronte a un crescente potere pervasivo dell’intelligenza artificiale in tutte le attività umane, dalla vita quotidiana al lavoro e all’informazione.

L’oggetto principale delle riflessioni di Chiti è, com’è ovvio, il Partito Democratico sul quale ricade la responsabilità primaria di costruire un’alternativa credibile, che passa anche dal recupero di un elettorato che appartiene ormai al “maggior partito”, l’astensionismo, composto da cittadini delusi e diffidenti, che si trova in misura rilevante anche a sinistra, oltre che in una vasta area di antipolitica. Quest’ultima ha avuto un’impennata fra il primo e il secondo decennio del nuovo millennio, in parte prodotto dell’onda lunga di Tangentopoli, in parte risultato di un populismo che è cresciuto coi nuovi movimenti grillini e non solo, e del quale anche la sinistra è stata vittima, incapace di reagire con coraggio anziché assecondare pulsioni antipolitiche (si veda l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti). Riportare al voto quei cittadini significa dare valore, dignità e credibilità alla politica e alla sinistra. È una questione di qualità della democrazia.

Un aspetto critico verso la storia del Pd che condivido è la mancanza di una fisionomia chiara e, soprattutto, condivisa. Anch’io, come Chiti, sono stata una sostenitrice convinta del progetto di riunire le culture progressiste, democratiche e riformatrici della Prima Repubblica, ma quel progetto richiedeva contestualmente una volontà di costruzione di una rinnovata cultura politica, di un nuovo tessuto culturale, che è mancato del tutto.  Anzi, lo si è volutamente rimosso. Con la conseguenza che sono prevalsi giochi di potere interno oppure talvolta sono emerse ragioni di difficile compatibilità programmatiche, non supportate da un pensiero politico lungimirante. Uno degli effetti più macroscopici di questo vuoto di pensiero è la fine dell’alleanza fra politica e cultura. Cultura intesa come capacità di analisi dei cambiamenti, di studio delle soluzioni possibili ai problemi vecchi e nuovi che si presentano, delle trasformazioni sociali ed economiche che richiedono politiche rinnovate. Dice bene Chiti: occorre saper declinare tradizione di sinistra, i suoi principi di libertà, giustizia, eguaglianza, fraternità, con la capacità di vedere il nuovo che emerge. Nel nuovo occorre ormai inserire i mutamenti ambientali, la transizione ecologica, le diseguaglianze fra le generazioni.

Non ultimo, c’è il problema della rappresentanza sociale. Quali sono i ceti e anche le categorie economiche alle quali guarda e parla la sinistra? La composizione sociale è cambiata ormai da decenni col postfordismo e continua a cambiare con la globalizzazione, con lo sviluppo del terziario e dei nuovi lavori prodotti dalle tecnologie informatiche, che hanno dato vita a figure inedite difficilmente catalogabili con le classificazioni tradizionali. Politiche fiscali e salariali perseguite in tempi di emergenza economica hanno fatto scomparire quasi del tutto il ceto medio. Viviamo in una società “fluida”, come sostiene Zygmunt Bauman, e in un mondo del lavoro altrettanto fluido, nel quale le classi non sono ben identificabili.

Non può che essere la sinistra a farsi interprete di tali cambiamenti per disegnare un orizzonte diverso, realizzare maggiore uguaglianza e dare valore ai beni comuni. La destra è per sua natura più tradizionalista, quando non regressiva. Il motto “Dio Patria Famiglia” dice molto sulle sue posizioni. Lo vediamo continuamente sugli immigrati, sulla contrarietà ostinata allo ius solis (o scholae), sui figli delle coppie omosessuali, sui temi etici, sui diritti riproduttivi. Tocchiamo con mano che la differenza fondamentale fra destra e sinistra è fra una società chiusa e una società aperta, garante dei diritti individuali, promotrice della democrazia partecipativa, disposta all’accoglienza e a trasformarsi. La sinistra del Novecento (soprattutto il PCI) è arrivata tardi al riconoscimento dell’importanza dei diritti individuali, senza i quali non c’è libertà e neanche eguaglianza, come dimostrano il premio Nobel per l’economia Amarthya Sen e la studiosa statunitense Martha Nussbaum, che propongono di rafforzare il tema dei diritti trattandone nella prospettiva delle “capacità” (capabilities), della realizzazione effettiva di conquiste concrete. Essi non sono perciò espressione di egoismi o individualismi esasperati (come traspare in qualche passaggio del libro), ma costituiscono la precondizione della libertà e dell’eguaglianza. Non bastano i diritti sociali a costruire giustizia. Il non riconoscimento del diritto a vivere liberamente la propria sessualità porta, ad esempio, a discriminazioni anche gravi sul lavoro. Sappiamo che i temi cosiddetti “eticamente sensibili” sono divisivi anche all’interno del PD, ma l’intangibile libertà di coscienza individuale non può bloccare processi di cui la sinistra nel suo complesso deve farsi carico. In una discussione franca e coraggiosa risulterebbe – credo – che è molto più “giusto” regolamentare la gestazione per altri anziché accodarsi alla destra nel considerarla un improbabile “reato universale”. Su questo dissento da Chiti.

Un altro tema importante è l’europeismo da abbracciare fino in fondo con l’obiettivo di costruire un’Europa federale, più forte e autorevole. Giustamente Chiti inserisce la questione nel confronto fra Occidente e Oriente (con capifila Cina e Russia), cioè in quei movimenti geopolitici che rischiano di indebolire o annientare l’Europa politica.

Un capitolo del libro è dedicato ai giovani, soggetti colpevolmente assenti nei partiti e residuali anche nel PD, non tanto per la militanza quanto per le politiche a loro dedicate. La destra se ne sta occupando esclusivamente come soggetti da punire e reprimere (si veda il decreto Rave o le dichiarazioni punitive verso gli studenti del ministro dell’istruzione che sembra abbia assunto come valore primario la disciplina). Sarebbe ora anche per il Pd di occuparsi seriamente dei giovani; non deve essere retorica sostenere che essi sono i costruttori del futuro. Il futuro per loro deve esistere e ciò non è scontato, dal lavoro alla formazione, dalla pensione alla possibilità di avere una casa e costruire una famiglia: alla possibilità di vivere su un Pianeta sul quale i cambiamenti climatici consentano ancora la vita umana.

Chiti propone, infine, una costituente della sinistra per implementare la sua forza politica. Per quanto possa essere auspicabile e suggestivo, personalmente sono più pessimista e ho qualche dubbio sulla possibilità concreta di realizzare un tale progetto, vista la storia della frantumazione a sinistra. Direi che mancano le condizioni. Meglio lavorare sulle alleanze e cercare con pazienza e lavoro politico convergenze su singoli temi, come tenta di fare Elly Schlein, che andrebbe sostenuta con più forza nella costruzione di una visione generale della strategia e delle trasformazioni in corso.

Vannino Chiti, Dare un’anima alla sinistra. Idee per un cambiamento profondo, Guerini e associati, Milano 2023, pp. 139

In foto Vannino Chiti

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