Messina Denaro: Cosa nostra sopravvive ai suoi capi, serve una strategia di attacco

La riflessione dell’ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia

Anche per Matteo Messina Denaro è giunta la fine. Adesso partirà purtroppo quel meccanismo maledetto del “fascino del male” che prova ad alimentare il mito del boss che non si è arreso. Ma a ben guardare non è così. Se fosse stato un normale cittadino, Matteo Messina Denaro oggi sarebbe considerato un vigliacco perché si è affermato a danno del prossimo, solo grazie alla violenza e alla forza della mafia. Bisogna quindi non abboccare a quel “delirio di onnipotenza” che non l’ha mai abbandonato pure nel dettare le ultime volontà sul proprio funerale e nei giudizi apodittici e autoassolutori su Dio, la Fede, la Chiesa.

Nella babele delle letture che ovviamente impazzano, rischiano di essere sacrificati gli “approcci integrati”, che chiamano in causa più punti di analisi e strategie. Alcuni spunti sintetici ci aiutano allora ad andare in tale direzione.

1) È risaputo che Matteo Messina Denaro era il rampollo di una storica famiglia mafiosa. Sarebbe interessante ricostruire il loro albero genealogico per comprenderne meglio la radice mafiosa e il sistema delle alleanze e delle collusioni costruite man mano ad alti livelli. Il padre Francesco morì latitante e, nell’ascesa al trono dei corleonesi di cosa nostra, diventò un loro fedele alleato, lasciando in eredità al figlio Matteo un sistema di relazioni che in poco tempo gli hanno consentito di primeggiare sulle altre famiglie mafiose, comunque alleate, del calibro dei Mangiaracina, degli Agate, dei Virga, degli Asaro e degli stessi Buonafede.

2) Il mandamento di Castelvetrano in cui è stato allevato Matteo Messina Denaro è stato ribattezzato, all’interno di cosa nostra, come la “Corleone Marina” per via della presenza, in questo territorio, di parenti diretti di Riina, Provenzano e Brusca e con un ruolo ancora da sviscerare dell’allora sindaco Vaccarino, originario di Corleone e risultato molto legato agli apparati. Rimane pertanto decisivo comprendere questi legami territoriali per evitare di pensare che ci siano contesti isolati e non integrati nell’organizzazione mafiosa.

3) Nella strategia di Riina di conquista assoluta di cosa nostra, il giovane Matteo ebbe
un ruolo analogo a quello del giovane Brusca, del giovane Ganci, del giovane Madonia.
Riina riuscì così a radicare il suo potere nelle più antiche e blasonate famiglie mafiose, utilizzando quei rampolli mafiosi per i più efferati delitti, così da comprometterli per sempre al comune destino. Ne è un esempio la composizione delle squadre di killer chiamate a commettere i più efferati delitti e stragi, compreso il trattamento indicibile riservato al piccolo Giuseppe Di Matteo.

4) Nella evoluzione del potere mafioso del mandamento di Castelvetrano e della provincia di Trapani, spicca il ruolo della massoneria più o meno deviata, di logge particolari (la Scontrino con le altre Iside, Iside 2, Hiram, Cafiero, Ciullo d’Alcamo, Osiride, e una settima, chiamata Loggia C. per citare solo le più famose) e di legami con gli apparati, sin dai tempi di “Gladio”, e con la P2 di Licio Gelli. Un sistema di collusioni in cui è stato introdotto Matteo Messina Denaro, che ne fanno un unicum nei giochi interni al potere mafioso e agli scambi che via via si sono consumati con le parti compromesse dello Stato e della stessa politica, scambi e legami che fanno capolino in tutte le Stragi, comprese quelle del 1992-1993.

5) Il mandamento di Castelvetrano sotto l’egida dei Messina Denaro ha sviluppato pure un rapporto familiare con la potente famiglia mafiosa dei Guttadauro di Palermo e di Bagheria e con le famiglie mafiose di cosa nostra americana, in particolare di New York, visti anche i loro diretti rapporti di parentela che sicuramente hanno avuto un peso sulle attività di riciclaggio e di espansione geomafiosa, che andrebbero analizzate meglio perché possono proiettarsi anche dopo la morte del boss.

6) Il rapporto di cosa nostra trapanese è non solo di tipo collusivo con gli apparati e con la massoneria, ma spesso diventa un tutt’uno con la “borghesia mafiosa” delle professioni, dell’economia, della politica, che le ha consentito impunità e protezione ma anche inedite e devastanti possibilità di penetrazione nei gangli della società, delle istituzioni e di arricchimento patrimoniale e finanziario.

Nella riflessione, non devono mancare le strategie di attacco per non subire sia l’iniziativa della famiglia dei Matteo Messina Denaro sia la riorganizzazione in atto all’interno di cosa nostra, dopo il lungo dominio dei corleonesi. Alcuni spunti di lavoro sono pertanto preziosi:

a) Matteo Messina Denaro, prima di morire, ha voluto tracciare il percorso per la sua
famiglia mafiosa
. Nessun passo indietro, anzi ha cercato in tutti i modi di alimentare il suo “mito” per evitare di perdere le ricchezze amministrate da chissà quanti prestanome, che dopo la sua morte potrebbero farsi venire la tentazione di impossessarsene. È pertanto decisivo anticipare e frenare l’ascesa al trono del nipote prediletto dei Guttadauro, Francesco, per adesso in carcere, fratello della giovane donna avvocato che, a motivo della sua professione, ha potuto avere incontri in carcere con lo stesso Matteo Messina Denaro, privi delle rigorose restrizioni imposte dal 41 bis. Non bisogna trascurare il fratello Salvatore e le sorelle di Matteo, che in diversi frangenti hanno dimostrato nervi saldi e spietatezza.

b) È venuto meno il possibile ruolo destabilizzante della figlia Lorenza, che avrebbe potuto seguire l’esempio di rottura coraggiosa intrapreso dall’altro ramo familiare dei Cimarosa. Il conflitto latente con la figlia è stato alla fine assorbito e così si è potuto lanciare un Messaggio di compattezza a quella parte di Cosa nostra che sicuramente soffriva lo strapotere di Matteo Messina Denaro e che, con il vuoto aperto dopo la sua morte, pensa di prendersi un più ampio potere e ruolo. Presto i diretti discendenti di Messina Denaro e i suoi nipoti saranno chiamati a confrontarsi con boss del calibro dei Luppino, dei Di Natale, degli Spezia, dei Raia, per indicare quelli considerati oggi ai vertici della mafia della provincia di Trapani.

c) Con la sua altezzosa e arrogante ostentazione di tenuta mafiosa, Matteo Messina Denaro ha lanciato in questi mesi un altro messaggio di affidabilità della propria famiglia mafiosa agli alleati e soci collusi, soprattutto a quella parte che condivideva segreti e strategie portate avanti in trattative e stragi, come quelle del 1992 e del 1993, per contrastare il rischio della marginalizzazione a cui spesso si ricorre quando una famiglia è troppo ingombrante e perde il proprio leader.

Due altre considerazioni conclusive possiamo trarre dalla fine di Matteo Messina Denaro.

La prima spinge a comprendere che l’organizzazione mafiosa è tra le poche organizzazioni che nell’Occidente secolarizzato e frammentato è in grado di sopravvivere alla morte dei capi. Ecco perché il problema principale è il “vincolo mafioso” che va colpito e destrutturato, utilizzando al meglio l’approccio normativo rigoroso e severo del “doppio binario”, contenuto e potenziato nel Codice Antimafia del 2017 e purtroppo continuamente messo in discussione nei suoi principi e istituti cardine, come l’ergastolo ostativo, lo stesso 41-bis, le interdittive antimafia, le misure di prevenzione patrimoniali, il controllo degli appalti.

La seconda considerazione è che bisogna passare alla strategia di attacco, in modo da spingere lo Stato finalmente verso l’“Antimafia del giorno prima”, piuttosto che rischiare ancora una volta di rimanere ancorati a quella del “giorno dopo”. In sostanza, non bisogna restare in attesa che si affermino un nuovo capo e nuovi assetti mafiosi per poi rincorrerli e provare a limitarne la portata sociale e collusiva con un’azione tesa al solo contenimento. Per questo è necessario più che mai un approccio progettuale e sistematico integrato attivato su diversi piani, sia a livello territoriale che globale: quello politico e socio-culturale, quello economico e finanziario, quello repressivo e militare. Gli strumenti per combattere ci sono, le conoscenze pure, basta volerlo.

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