Pisa – Il 5 gennaio di quest’anno, nel giorno del cinquantesimo anniversario dello storico incontro a Gerusalemme tra Paolo VI e il patriarca Atenagora, il pontefice annunciava che avrebbe compiuto un viaggio in Terra Santa. La mattina del 24 maggio Papa Francesco con valigetta nera in mano saliva le scalette del volo per Amman. Era l’inizio di un pellegrinaggio storico. Una visita religiosa e politica breve, intensa e “impegnativa” con l’obiettivo, nemmeno poco dichiarato, di portare solidarietà alle minoranze cristiane che vivono in quei luoghi: fedeli privati dei pieni riconoscimenti e dei diritti.
Francesco volò in elicottero in Giordania, Palestina e Israele. Prima di ripartire dall’aeroporto di Tel Aviv il 26 maggio. Per uno strano scherzo del destino nelle stesso momento, poco lontano, nasceva il Califfato islamico dell’Isis, notizia che allora non fece molto scalpore. Il viaggio del Papa, comunque, aveva ottenuto un risultato concreto, Francesco era riuscito a convincere il presidente palestinese Abu Mazen e quello israeliano Shimon Peres ad una preghiera congiunta per la pace a Roma. Il ricordo dell’8 giugno, di quel momento di preghiera nei giardini del Vaticano, è oramai andato nel dimenticatoio, purtroppo nelle settimane a seguire la violenza è tornata ad insanguinare quelle terre.
L’estate 2014 è passata via tra crisi di Gaza e terrorismo fondamentalista. In mezzo ancora una volta a pagare il prezzo più alto le comunità arabo-cristiane. Arrivano le prime piogge anche in quelle terre calde ma il contesto politico in Medio Oriente non cambia, il rischio per i cristiani è elevato, molti sono costretti alla fuga, abbandonano le case, il proprio Paese. La situazione è drammatica e proprio pochi giorni fa il 20 ottobre Papa Francesco ha richiamato urgentemente in Concistoro i cardinali e per la prima volta i delegati pontefici presenti in Medio Oriente. È l’inizio delle manovre pesanti della diplomazia vaticana, un’iniziativa che segna una linea di non ritorno: “Come ho avuto occasione di ribadire a più riprese, non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti. Assistiamo ad un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili”.
Sono le parole pronunciate da Francesco ai rispettivi patriarchi e ai cardinali presenti alla riunione. E se andiamo a leggere i numeri della presenza dei cristiani in Medio Oriente dimostrano quanto bene il pontefice abbia fatto a richiamare l’attenzione e deciso di lanciare un appello alla comunità internazionale: i cristiani nel 1914 erano in Turchia, Egitto, Iraq, Giordania, Siria, Palestina e Libano erano il 14,84% su una popolazione di 31.761.000, nel 2014 il 4,82% su una popolazione di 240.700.000. Un esodo che rischia, ormai di non fermarsi più.
Tra gli interventi degli alti prelati che si sono susseguiti ha riscosso molta attenzione l’analisi politica del Segretario di Stato Piero Parolin: “La pace in Medio Oriente va cercata non con scelte unilaterali imposte con la forza” anche se “si è ribadito che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre, però, nel rispetto del diritto internazionale.” Il cardinale Parolin ha quindi aggiunto che “per quanto riguarda il cosiddetto Stato Islamico, va prestata attenzione anche alle fonti che sostengono le sue attività terroristiche ”. Quello di Parolin è stato un intervento dettagliato, con commenti e critiche talvolta taglienti come nel caso della comunità internazionale, oggetto di un forte richiamo: “Di fronte alle sfide che si presentano, essa – la comunità internazionale – deve andare alla radice dei problemi, riconoscere anche gli errori del passato e cercare di favorire un avvenire di pace e di sviluppo per la Regione mettendo al centro il bene della persona e il bene comune.”
Parole chiare per una penisola araba dove: “c’è un problema di fondo che è il rapporto e il nesso inscindibile tra religione e politica, cioè la mancanza di separazione tra religione e Stato, tra l’ambito religioso e quello civile, legame che rende difficile la vita delle minoranze non musulmane e in particolare quella cristiana. Sarebbe importante perciò contribuire a far maturare l’idea della distinzione tra questi due ambiti nel mondo musulmano.”
Distinzione tra stato e religione, bene comune e diritti fondamentali la Chiesa di Roma non lancia una nuova crociata ma una rivoluzione culturale e sociale per il Mondo arabo. In questa cornice si inserisce probabilmente, proprio in queste ore, l’annuncio del prossimo viaggio del Pontefice in Turchia, nei giorni tra il 25 e il 28 di novembre. Nel programma oltre all’incontro istituzionale con Erdogan, a quello di cortesia all’amico patriarca Bartolomeo I, ci sarà la visita alla Moschea Blu e al mausoleo di Ataturk, padre della patria e fondatore di uno stato laico e riformista.
Alfredo De Girolamo, Enrico Catassi
Foto. it.radiovaticana.va