Mattarella, il vero nodo è “rispondere al bisogno di legalità”

Firenze – E’ partito a un minuto alle 13, in tramvia com’è arrivato, il presidente della Repubblica che oggi ha inaugurato con la sua presenza e un forte discorso l’inizio dei corsi della Scuola superiore di Magistratura di Castelpulci, sulle colline di Firenze, nel territorio di Scandicci. E il punto che ha fatto nel corso del suo discorso si è basato su una parola chiave e in questo paese per niente scontata, anche se rivolta a prossimi giudici: legalità.

Dunque, legalità che deve provenire anche dalle “strategie organizzative” che la magistratura deve darsi allo scopo di compiere un “recupero di efficienza”. Un recupero necessario, appunto, in vista di quell’obiettivo di fondo così fortemente marcato dal Presidente, vale a dire “rispondere efficacemente al bisogno di legalità fortemente avvertito nel Paese”. Le parole del Presidente della Repubblica sono volate di fronte al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e al vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini: sfide, quelle che i magistrati devono essere in grado di affrontare, “tanto più impegnative in un contesto di crescenti attese da parte dei cittadini, sempre più esigenti verso un servizio essenziale come la giustizia, chiamata a definire ogni giorno l’equilibrio tra diritti e doveri applicando le regole dettate dalla legge”.

Attesa da parte del popolo che si esplica, continua il Capo delle Stato, nel fatto che “il controllo di legalità, per essere giusto ed efficace, impone percorsi formativi idonei a sviluppare nei magistrati la capacità di comprendere le dinamiche in corso nel mondo in cui operano”. E, dal momento che secondo il Presidente i magistrati non devono rivestire il ruolo di “burocrati” da un lato, ma neppure peccare di “protagonismo” dall’altro, ecco allora che solo “l’alto livello di preparazione professionale rappresenta la struttura portante su cui si regge l’indipendenza della magistratura”. Cita la Costituzione, il Presidente, per chiarire il suo messaggio: il compito affidato ai magistrati è “un compito né di protagonista assoluto nel processo né di burocratico amministratore di giustizia”. Spiega ancora Mattarella che gli atteggiamenti di “protagonista assoluto nel processo” o “di burocratico amministratore di giustizia” sono “due atteggiamenti che snaturano la fisionomia della funzione esercitata”. Vale quindi sempre, ha spiegato il capo dello Stato, “il monito di Piero Calamandrei: ‘il pericolo maggiore che in una democrazia minaccia i giudici è quello dell’assuefazione, dell’indifferenza burocratica, dell’irresponsabilità anonima”.

 “Al magistrato si richiede una costante tensione culturale che trova sì fondamento in studi e aggiornamenti continui, sempre più necessari nel contesto normativo in rapido movimento – è l’ulteriore passaggio del Presidente –  ma si nutre anche di una profonda consapevolezza morale della terzietà della funzione giurisdizionale, basata sui principi dell’autonomia e dell’imparzialità”. Dunque, la consapevolezza della terzietà della funzione svolta è da tenere sempre in primo piano, esorta Mattarella, dal momento che “un esercizio responsabile dei poteri dei magistrati ‘in nome del popolo’ vede nei percorsi formativi un passaggio rilevante per raggiungere, e mantenere, il difficile equilibrio tra garanzia, discrezionalità del giudice e risposta al diffuso sentimento di legalità”.

 

 

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